La dott.ssa Sonia Servino è una delle sette infermiere in Italia che consegue la laurea in filosofia presso l’Università degli Studi Piemonte Orientale sede di Vercelli.
L’attività di nursing persegue l’obiettivo principale di erogare ‘’good care’’, ovvero fornire la cura più giusta che ha come il fine ultimo di promuovere e mantenere il benessere di una persona in ogni sua dimensione.
Come esseri umani siamo necessariamente esseri sociali, facendo confluire tale assunto nella pratica infermieristica si evince che la relazione di cura costituisce la base del nursing come pratica morale: il soggetto che viene assistito è vulnerabile e la responsabilità dell’infermiere riguarda il fornire la risposta giusta per le esigenze del paziente attraverso la propria persona e la relazione di cura.
La relazione di cura si mostra come il ‘’microcontesto’’ in cui l’infermiere mette in scena i propri valori personali e professionali, il comportamento di cura, dunque, non può essere ridotto alle sole competenze pratiche, ma esso concerne pure una sfera più ‘’astratta’’ che consente un incessante interessamento emotivo e una continua motivazione per raggiungere l’obiettivo finale di good care.
Il nursing, che si manifesta in una relazione di cura, ha come valore e scopo primario la good care, che consiste nella promozione e nel mantenimento del benessere di un individuo: sebbene sussista una reciproca influenza tra le diverse figure che prendono parte al processo di cura, l’infermiere, tuttavia, ha l’obbligo di perseguire e soddisfare i valori dell’assistito.
L’infermiere, tuttavia, nel suo operato quotidiano deve essere capace di destreggiarsi in un sistema di valori che possono essere in contrasto o contrari ai propri; pertanto, può andare incontro a diversi tipi di problemi, tra cui il moral distress. In letteratura viene definito “moral distress”, termine coniato nel 1984 da Andrew Jameton, la situazione di sofferenza vissuta dall’infermiere nel momento in cui “riconosce la cosa giusta da fare e tuttavia per impedimenti istituzionali gli è impossibile seguire il giusto corso d’azione”.
Nel 2001 è stato elaborato il primo strumento capace di identificare la frequenza e l’intensità del distress morale negli infermieri del reparto di terapia intensiva, ovvero la Moral Distress Scale (MDS), successivamente revisionata in Moral Distress Scale Revised (MDS-R), che consente di conoscere la frequenza e l’intensità del moral distress nonché del residuo morale in varie situazioni.
Dai diversi studi che sono sati effettuati è stato rilevato che l’angoscia morale che provano gli infermieri, e i conflitti che si generano in seno all’ambiente lavorativo, sono parti inscindibili della vita professionale. Rientrano tra le suddette questioni: l’assenza di consenso dinnanzi a procedure, il prolungamento della vita dell’assistito senza prendere in considerazione la qualità della stessa, le pratiche terapeutiche discutibili se non crudeli, il rendere banale l’evento morte, l’assenza di comunicazione, le decisioni frastagliate, la difformità nella disposizione delle risorse (in particolare quelle dirette al personale infermieristico), la carenza di organico e l’eccessivo carico di lavoro.
Il distress morale, a prescindere dall’eziologia, costituisce una fonte di sofferenza per l’infermiere, provocando una serie di conseguenze fisiche, spirituali, comportamentali ed emozionali.
Il moral distress rappresenta una probabile minaccia per l’integrità morale, nel momento in cui essa viene compromessa ci si imbatte nel residuo morale. Secondo Webster e Baylis il residuo morale è quello che ognuno porta con sé da quelle fasi della vita in cui, dinnanzi ad una situazione di distress morale, ci si sente realmente compromessi.
Il moral distress, molto spesso, viene descritto, in letteratura, come un concetto ombrello che include varie esperienze morali che possono generare conseguenze psicologiche fisiologiche, spirituali ed emotive. Alcuni autori, infatti, hanno criticato e suggerito di abbandonare il concetto di distress morale poiché ritenuto filosoficamente impreciso e anche per il fatto che la ricerca sul tema –benché sia molto estesa – è debole dal punto di vista metodologico.
Parecchi autori convengono sul fatto che il distress morale rappresenti una minaccia per quel che riguarda l’identità e integrità personale e professionale: si verifica, infatti, una violazione dei propri valori morali che lede la moralità di un soggetto danneggiandone la correlativa integrità e identità.
Tra le azioni pro-attive che possono essere adottate dal singolo infermiere per fronteggiare ad una situazione di moral distress vi è, innanzitutto, la mancata negazione del fenomeno.
L’infermiere essendo consapevole delle conseguenze nocive del moral distress utilizzerà meno atteggiamenti negativi di fuga, di allontanamento e di elusione che costituiscono una soluzione a situazioni affliggenti e dolorose. Tuttavia, pretendere di gestire da soli o tra pari il moral distress non basta. Bisognerebbe invogliare gli infermieri a discutere delle loro valutazioni e perplessità con i medici in riferimento, ad esempio, all’inutilità delle cure in modo rispettoso e non minaccioso.
Dott.ssa Sonia Servino
Redazione Nurse Times
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