Tutto quello che c’è da sapere sul contratto non scritto che da sempre lega il lavoratore al datore di lavoro.
Una delle caratteristiche più evidenti del tempo che viviamo è il cambiamento nei modelli organizzativi e nelle prestazioni di lavoro. Il mondo del lavoro è sempre più caratterizzato da nuove sfide di produttività, adattabilità, flessibilità e mobilità che sono diventate le nuove prerogative per la competizione sia delle aziende sia dei lavoratori nel mercato globale (Rifkin, 1995).
Alle imprese è richiesto oggi l’impiego di un livello di conoscenze, in costante evoluzione, quantitativamente e qualitativamente più elevato che nel passato, caratterizzato dalla continua necessità di rinnovamento. Tra le tante conseguenze legate al cambiamento vi è la ridefinizione del rapporto tra dipendente e azienda. Tale rapporto è divenuto meno protettivo, anche sul piano giuridico. Il lavoratore si trova di fronte alla necessità di sviluppare competenze sempre più versatili per poter garantire una rapida adattabilità a condizioni di lavoro più pressanti e a rischio, e ad uno sviluppo tecnologico sempre più incalzante (Garsten, 1999).
Ciò che si è sostanzialmente modificato è il contratto psicologico di lavoro, inteso come il contratto non scritto che da sempre lega il lavoratore al datore di lavoro. Il vecchio contratto psicologico stabiliva implicitamente che qualora si fosse svolto in modo regolare il proprio lavoro si sarebbe avuta la garanzia di un impiego per tutta la vita. Il nuovo contratto psicologico riguarda un tipo di scambio differente. La sicurezza lavorativa non può più essere garantita a vita. Questo nuovo contratto psicologico è in continua evoluzione e ha ripercussioni sulla salute e il benessere psico-fisico nelle relazioni e nei contesti lavorativi che dipendono in misura sempre più significativa dal senso che le persone riescono a dare all’esperienza che fanno quotidianamente (Cepollaro G, Morelli U., 2016).
Cooperazione e conflitto (Morelli U., 2013) sono in questo modo dinamiche interdipendenti e possono essere dinamiche generative alla base della qualità della vita di lavoro e della produttività nei gruppi e nelle organizzazioni. Il problema principale, insomma, sembra derivare dalle percezioni e azioni che sono messe in atto per far fronte alle trasformazioni, la cui rapidità causa disagi e problemi di vulnerabilità, di disorientamento e di peculiari difficoltà psichiche. Così come con l’avvento della prospettiva abbiamo ridotto tutto a un solo punto di vista, lo stesso abbiamo fatto con la forma unica data alle esperienze lavorative. Nel momento in cui quella forma si decompone, i disagi derivanti dalla nostra risposta sono evidenti, diffusi e profondi. Continua…
Morena Allovisio
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