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Ictus: i benefici della microstimolazione elettrica

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Ictus: i benefici della microstimolazione elettrica
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Per contenere i danni derivanti da un ictus è possibile utilizzare la microstimolazione elettrica del nucleo dentato, piccola area del cervelletto deputata all’integrazione delle vie motorie. Lo segnala uno studio condotto da un team dell’Università di Cleveland e pubblicato su Nature Medicine .

La Deep Brain Stimulation è una tecnica già in uso per malattia di Parkinson, epilessia, depressione e cefalea a grappolo, tutte condizioni in cui è necessario ripristinare il funzionamento dei neuroni grazie a una lieve stimolazione elettrica. Il neurochirurgo può posizionare con precisione millimetrica gli appositi microelettrodi, su cui viaggiano gli impulsi stimolatori.

Con una stimolazione pari a 30 Hertz per 20-24 mesi i ricercatori hanno ottenuto, a distanza di uno-tre anni dall’ictus, una significativa riduzione del deficit motorio, per il quale sembrava non ci fosse più nulla da fare. Sono emersi miglioramenti anche nei pazienti con scarsi punteggi nelle scale di valutazione e una prognosi sfavorevole.

Chi all’arruolamento conservava poi un certo grado di funzione motoria distale, cioè usava meglio le mani, ha avuto un vantaggio ancora maggiore. Anche gli esami di imaging cerebrale hanno segnalato un miglioramento nelle aree motorie chiave dopo la stimolazione.

L’aspetto interessante è che la DBS sembra ottenere risultati anche al di là delle cosiddette golden hours, cioè quel breve lasso di tempo dopo la crisi in cui, secondo il protocollo, è necessario agire per tentare di arginare i danni prodotti dall’ictus al paziente.

“Questo trattamento – commenta Mauro Silvestrini, presidente della facoltà di Medicina dell’Università Politecnica delle Marche e dell’Italian Stroke Association – sembra migliorare i processi di adattamento e di recupero da danno ischemico cerebrale attraverso il fenomeno della neuroplasticità, che può essere risvegliata anche molto tempo dopo l’evento acuto. Il buon risultato ottenuto dovrà essere confermato su gruppi più ampi di pazienti, ma ancora una volta dimostra l’importanza di trattarli per periodi anche lunghi al fine di promuoverne il recupero. E va sottolineata l’importanza di approcci non invasivi, in particolare della riabilitazione”.

Redazione Nurse Times

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