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Hong Kong, “salto di specie” per l’epatite E: può contrarla anche l’uomo

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Hong Kong, "salto di specie" per l'epatite E: può contrarla anche l'uomo
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Si pensava che il virus infettassse soltanto i topi. Ora è risultato positivo un 61enne e, secondo gli esperti, potrebbero esserci molti altri casi “silenti”.

Proprio mentre il mondo affronta la pandemia da Sars-CoV-2 un altro virus ha fatto di recente il “salto di specie”. Si tratta di una forma di epatite denominata “E”, che si pensava infettasse soltanto i topi. Invece, dopo il primo caso del 2018 (un uomo di 56 anni risultato positivo al virus che infetta i ratti, ma non alla sua variante “umana”, di cui se ne conoscono in tutto quattro), gli scienziati stanno riconsiderando le loro convinzioni.

Questo germe patogeno causa febbre, ingrossamento del fegato, itterizia. «Improvvisamente, ci siamo trovati di fronte un virus che passa dai topi all’uomo», ha detto alla Cnn il microbiologo che ha fatto la scoperta, Siddharth Sridhar. Si pensava che fosse un caso isolato. E invece, da quel “paziente zero” in poi, ne sono stati riscontrati altri dieci. L’ultimo, una settimana fa: un 61enne con funzioni epatiche alterate che è stato testato ed è risultato positivo a Hong Kong. E potrebbero esseri centinaia di altri casi “silenti”, avvertono i virologi. 

Il problema è che non si riesce a risalire all’origine del contagio. Ma non c’entra, questa volta, la tradizione cinese di acquistare animali vivi per consumarne la carne: i ratti non li mangia nessuno. Secondo l’Oms, l’epatite E si trasmette solitamente tramite acqua contaminata. Ma i ricercatori non hanno trovato tracce di possibili “contatti” che hanno provocato l’infezione.

L’ultimo caso si è rivelato un vero enigma: nessun viaggio recente, nessun contatto con topi o fonti idriche possibilmente infette. Inoltre, anche questo virus è poco conosciuto (affermazione ormai inflazionata), e quindi nessuno sa quali siano i tempi di incubazione. Probabilmente i contagi sono avvenuti molto tempo fa, ma non c’è modo di provarlo. Inoltre la terapia usata per la variante “umana” sembra non essere del tutto efficace in quella provocata dal virus dei topi. 

«Ciò che sappiamo – ha detto Sridhar – è che i topi di Hong Kong sono portatori del virus e che lo stesso germe patogeno passa all’uomo. Ma come arrivi a infettare gli esseri umani, attraverso cibo contaminato o un altro animale che fa da anello di congiunzione, non lo sappiamo. E’ questo l’anello mancante». Secondo il virologo, potrebbe trattarsi soltanto della punta di un iceberg, anche perché (anche questo suona familiare?) a volte chi viene contagiato ha sintomi molto lievi o completamente trascurabili, e non viene ricoverato.

Redazione Nurse Times

Fonte: Il Messaggero

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