Molti di meno i casi rispetto al 2019, ma il periodo di restrizioni da coronavirus può aver impedito o scoraggiato i test.
Nel 2020 sono state segnalate 1.303 nuove diagnosi di infezione da Hiv, un numero ancora più ridotto rispetto ai casi già in progressiva diminuzione osservati negli ultimi dieci anni. “Rispetto al 2019 – commenta Barbara Suligoi, responsabile del Centro operativo Aids dell’Iss – il numero di nuove diagnosi Hiv del 2020 è quasi dimezzato, e questo è molto probabilmente da ricondurre alla pandemia da Covid-19 e alle conseguenti restrizioni di circolazione e di aggregazione”.
L’incidenza osservata in Italia è stata inferiore rispetto all’incidenza media osservata tra le nazioni dell’Unione Europea (2,2 vs. 3,3 nuovi casi per 100mila residenti). La quasi totalità dei casi (88%) è da attribuire a rapporti sessuali: maschi che fanno sesso con maschi (MSM) per il 46% e rapporti eterosessuali (maschi e femmine) per il 42%. Tra i maschi, più della metà delle nuove diagnosi Hiv è in MSM. La fascia d’età 25-29 anni è quella con la maggiore incidenza, più che doppia rispetto all’incidenza totale (5,5 vs. 2,2 nuovi casi per 100mila residenti).
“Purtroppo – continua Suligoi – sei su dieci nuove diagnosi di Hiv vengono identificate in ritardo, cioè in persone con una situazione immunitaria gravemente deficitaria (CD4<350 cell/µL) o addirittura già con sintomi di Aids. Questo ritardo pregiudica l’efficacia delle terapie antivirali. Infatti, mentre una terapia antivirale iniziata in fase precoce di infezione e in una persona giovane consente una qualità ed un’aspettativa di vita analoghe a quelle di una persona senza Hiv, una diagnosi tardiva e quindi un inizio tardivo di terapia riduce le probabilità di successo della stessa”.
Inoltre le persone con diagnosi tardiva possono aver involontariamente trasmesso l’Hiv ad altre persone, contribuendo così ad alimentare un sommerso di casi non ancora diagnosticati che in Italia si aggira intorno alle 13mila-15mila persone. È evidente come la percezione sulla circolazione dell’Hiv sia molto bassa nella popolazione generale, in particolare tra i giovani. E’ quindi fondamentale invitare le persone che si fossero esposte a un contatto a rischio, in particolare nell’ultimo anno e mezzo, a effettuare un test Hiv. Questo periodo di restrizioni da coronavirus può aver infatti impedito o scoraggiato molte persone a recarsi nelle strutture sanitarie dedicate.
In questo senso risultano estremamente utili le iniziative per effettuare il test Hiv in sedi extraospedaliere e informali, quali check-point, laboratori mobili, test in piazza, test rapidi, che eliminano le remore o la vergogna di rivolgersi a una struttura sanitaria. “Dal 22 al 29 novembre – conclude Suligoi – si terrà la Settimana europea per i test Hiv ed epatiti virali, con iniziative gratuite di test in tante città italiane: un’occasione per fare il test Hiv senza stress”. Come proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), l’obiettivo comune è terminare l’epidemia di Aids per il 2030.
Redazione Nurse Times
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