Da “Pulire un carrello non è demansionamento” a “il giro letti è il momento più bello dell’assistenza infermieristica”. Da “Credo molto nella ‘chiamata’ di essere infermiera” a “Un semplice bagno rassicurante cura più di mille medicine”. Da “il facchinaggio fa capire agli studenti infermieri che nel nostro lavoro serve umiltà” a “l’igiene del paziente è un momento di crescita e di riflessione”…!!!
Sono passati ben 23 anni da quando, col DM 739 del 1994, l’infermieristica italiana ha iniziato una serie di radicali cambiamenti; che l’hanno portata a diventare ciò che è ( o meglio, ciò che dovrebbe essere…) oggi: una professione, con tanto di laurea e di importanti responsabilità.
Ma non solo: una professione “intellettuale” (art. 2229 del Codice Civile) in quanto, per poterla esercitare, il laureato in Infermieristica deve necessariamente iscriversi ad un albo professionale.
Eppure… sembra proprio che dal punto di vista del riconoscimento, a 360 gradi, gli infermieri italiani siano rimasti ben ancorati all’anno zero.
Sono molte, infatti, le denunce che ci arrivano da tutta Italia, che lamentano una serie di anomalie (chiamiamole così…) e che dimostrano come nella vita reale, che purtroppo qui nel Bel Paese non è quella riportata su leggi, decreti, sentenze, profili professionali e quant’altro, la maggioranza degli infermieri italiani siano tutto (e sottolineo TUTTO) tranne che dei professionisti intellettuali.
Le cause?
Beh, sono parecchie: ad esempio la latitanza dei Collegi Provinciali Ipasvi che dovrebbero tutelare i professionisti ed il decoro professionale, ma che evidentemente non lo fanno in modo sufficiente (VEDI); le università che demansionano gli studenti e li educano ad essere “factotum” della sanità già dal corso di laurea (VEDI), senza prepararli a dovere per svolgere la professione (VEDI) e senza neanche accorgersi che molto, troppo spesso, non sanno nemmeno parlare correttamente l’italiano; l’estrema precarietà dei lavoratori sanitari (VEDI) che, di fatto, li costringe quasi a “prostituirsi” (professionalmente parlando) e a non denunciare nulla pur di mantenere il posto di lavoro; la carenza del personale di supporto, l’art. 49 del Codice Deontologico dell’infermiere (VEDI) e l’antica teoria del “abbiamo sempre fatto così”, che continua a giustificare ogni idiozia, ogni tipo di sfruttamento e il più mortificante demansionamento.
Ma al di là di questi tanto cronici quanto gravi impedimenti… siamo proprio sicuri che gli infermieri italiani abbiano tutta questa straripante voglia di crescere?
Perché nell’infermieristica italiana si aggirano ancora tanti, troppi colleghi che continuano, imperterriti, a comportarsi come trent’anni fa; divulgando il loro credo (in molti casi assai poco scientifico), le loro antiche fissazioni e la loro incommensurabile voglia di effettuare, quasi fossero delle imprescindibili ragioni di vita professionale, l’igiene perineale dei pazienti ed il rifacimento dei letti.
Parlo di quegli infermieri che lacerano l’entusiasmo, le aspettative delle nuove leve e che rovinano, riducendolo a pura ed inutile manovalanza (col benestare dei Tutor universitari, VEDI), il tirocinio clinico degli studenti.
E che sui social network, specchio della nostra attuale società, dispensano di continuo perle di saggezza; vere e proprie “flatulenze pseudo-intellettuali”, non contenute adeguatamente dagli sfinteri professionali e tramite cui tanti “inconsapevoli” professionisti, ben lontani dall’essere davvero intellettuali, colorano senza ritegno e/o vergogna il mare del web.
Ci sono colleghi, ad esempio, che consigliano spassionatamente alle nuove leve di lavorare gratis, così da “farsi le ossa” e di scrivere “qualcosa” sul Curriculum Vitae.
Non è la prima volta che sento questa aberrazione, all’interno della nostra categoria. Anche a me, non appena laureato, alcuni colleghi consigliarono di “arricchire” il CV tramite esperienze lavorative senza retribuzione. Conoscete per caso altre professioni i cui professionisti siano disposti a lavorare gratis? Personalmente… no.
Altri sottolineano come, all’inizio della carriera, ci sia bisogno di fare “gavetta”. E che, per tale motivo, sia necessario sfruttare, vessare e demansionare gli studenti. Perché è solo grazie al “facchinaggio” che gli infermieri possono rendersi conto veramente di quanto sia importante l’umiltà.
Un concetto che esce fuori spesso, l’umiltà, insieme ad altri come umanità, pazienza, pietà… ma che c’entra ben poco con questi ultimi. Per quale motivo, infatti, un professionista sanitario infermiere dovrebbe mai essere umile? Forse per giustificare a sé stesso, in qualche modo, il fatto di dover per forza continuare a fare “ciò che si è sempre fatto”, ovvero il factotum e lo sguattero della sanità?
O forse perché fare l’infermiere… non è una professione o un lavoro, bensì una “missione” per cui, a un certo punto della propria vita, si avverte una sorta di mistica “chiamata” che ti porta a fare e accettare di tutto?
Poi ci sono i reduci della giurassica Scuola Infermieri, affezionati ed incollati al loro passato, che con orgoglio e fierezza ti dicono:
Vaglielo a spiegare, a Pina, cos’è una laurea, cos’è un dottorato e quali sono le qualifiche accademiche che queste comportano (VEDI)…
Vaglielo a spiegare, ad Emma, che l’Infermiere ‘Professionale’, nonostante a livello giuridico tale dicitura non sia ancora del tutto sbagliata (il D.P.R. 225 del ’74 non è stato completamente abrogato, vige ancora il mansionario dell’infermiere generico), è di fatto morto e sepolto (VEDI).
Ma è quando ci si inoltra nel campo minato del demansionamento e del giro letti, che il fervente intelletto dei professionisti si affina terribilmente e e da luogo ad inenarrabili fermentazioni…
Mariapia, ad esempio, ci dice in modo un po’ confuso che l’infermiere deve rifare adeguatamente l’angolo del letto per una questione di “Buon senso”, in quanto tempo addietro è stata “psicotizzata” (?). Per fortuna che è intervenuto il buon Lucio a sdrammatizzare, spazzando via quelle lugubri e preoccupanti nubi psicotizzanti!
Titillando ancora il concetto di “buon senso”, Barbara invece ci rassicura sul fatto che, rifacendo i letti, le mani degli infermieri non subiscano alcun processo infiammatorio. Quindi non hanno alcuna scusante e devono necessariamente farlo.
Christian ha una scuola di pensiero diversa, anche se un po’ contorta: per saper lavorare in equipe (altro concetto chiave, sovente utilizzato per celare il demansionamento), gli infermieri devono sì saper fare i letti, ma senza farsi comandare dagli OSS. Mmmh. Chiaro, no?
Manuel, d’altra parte, si domanda se tutto ciò sia davvero un problema. E non ha tutti i torti: basta eseguire mansioni domestico-alberghiere (che, lo ricordiamo, non competono all’infermiere: VEDI), a testa bassa, senza farsi domande e rubando tempo prezioso ad attività di poco conto (…) come la pianificazione assistenziale… che i problemi svaniscono. Perché “si è sempre fatto così”…
Giulia, per evitare errori grossolani, va sul classico: l’igiene del paziente è “parte fondamentale” della formazione infermieristica perché permette di valutare la cute e la qualità di pipì e popò. Ma poi esagera: il bidet, per lei, è un momento di inimmaginabile crescita professionale e di riflessione… wow.
Altresì, Valentina ci garantisce, dall’alto di chissà quali attendibilissime fonti (speriamo scientifiche), che fare il giro letti anche “una sola volta al giorno” è fondamentale per ogni professionista infermiere che si rispetti.
Chissà perché, ma queste fughe di gas intellettuale non mi hanno molto convinto: per quale astruso motivo l’unica retta via per “vedere e osservare il paziente” dovrebbe essere quella di dispensare bidet a iosa?
Tutto ciò non sarà mica una forzatura per giustificare le incongruenze di una professione che spesso è ben poco infermieristica e un po’ troppo “sguatteristica”?
Ho un appuntamento dal dermatologo per far controllare i miei nevi, tra qualche giorno: chissà se, durante l’epiluminescenza di routine, il medico reputerà opportuno effettuarmi l’igiene perineale per valutare a dovere la mia cute…!
Silvia è più esaustiva: oltre a ribadire che il giro letti è fondamentale (addirittura con la F maiuscola) e che serve alla valutazione della cute, ci parla di “visione d’insieme”, di rispetto e, dopo aver filosofeggiato un po’ a proposito di “imparare a toccare senza ferire corpo e mente” (sempre e rigorosamente riferito ai miracoli didattici del bidet) sentenzia, con fare piuttosto funebre e rassegnato, che gli infermieri stanno “perdendo la strada”. Eh già… la strada del bidet.
Teresa, che lavora in una cardiochirurgia, ci ragguaglia a proposito del “vero approccio con il paziente”, che a suo dire può avvenire solo durante il giro letti. Giro che per lei è addirittura il “momento più bello” dell’assistenza infermieristica…
Roberta non si da pace e proprio non capisce come sia possibile anche solo pensare di perdere, rifiutando di effettuare il giro letti mattutino, quella “possibilità inestimabile di un contatto vero con il paziente”. Utente che, tramite giro letti e bidet, “si sente davvero preso in cura” e “capisce di chi può fidarsi”. Perché un bidet… è per sempre.
Lasciamo il giro letti, finalmente, anche se ammetto di aver collezionato davvero tante altre chicche sull’argomento… e addentriamoci tra i muscoli papillari del demansionamento, riflettendo a proposito di altri roboanti peti pseudo intellettuali, non trattenuti dai professionisti.
Come Roberta. Che, a voce piena, ci spiega spazientita che, per un infermiere, “pulire un carrello non è demansionamento”. E che gli stolti “dottorini”, ignoranti sul significato profondo del “prendersi cura”, non si rendono affatto conto di quanto in realtà “un semplice bagno rassicurante cura più di mille medicine”. E poi scusate… a casa propria gli infermieri che fanno, non puliscono?
Ed ecco che, dopo quello dei “dottorini”, Mariella ci presenta anche il magico mondo dei “mini dottori”; ovvero quei mini professionisti che, comportandosi come tali, a suo dire stanno causando lo sfacelo dell’infermieristica. Mentre lei, missionaria da 20 anni e dalla ferrea “vocazione” (…), è invece un indiscusso baluardo a difesa della professione.
A un certo punto l’affare intellettuale di colpo si ingrossa: Nino ci spiega che per “lavorare con armonia” e per mantenere “il buon andazzo del reparto” non bisogna stare sempre lì a domandarsi quali siano le proprie “manzioni”. Tanto, alla fine, anche se il “manzonario” è stato abolito, il “demanzionamento” è un problema atavico. Non risolvibile. Perciò, nel dubbio, tanto vale fare di tutto e di più.
Anna, invece, prova a svegliarci dal nostro torpore intellettuale, esortandoci a smetterla con le lamentele per dedicarci veramente a “fare gli infermieri” (e quindi di tutto e di più); in quanto, a causa della “mezza laurea” che abbiamo ottenuto, non pensiamo più al bene del paziente.
A proposito degli infermieri “factotum” di reparto… Carmela ammonisce i professionisti intellettuali di “pensare troppo a leggi e competenze”, mentre in verità sono i colleghi “praticoni” (i factotum, appunto), quelli che pensano di meno, a mandare avanti i reparti. In barba alle leggi e alle competenze, ovviamente…
Potevano mancare padelle e pappagalli, in questo inesauribile meteorismo cerebrale? Certo che no. Così interviene Roberto che, intellettualmente parlando, ci consiglia di dedicarci alla raccolta di ortaggi, qualora non avessimo voglia di portare la padella ai pazienti. Per fortuna che è intervenuto il buon Emiliano, a rispondere per le rime, con un’autentica bomba ipercalorica.
Ma è quando i concetti diventano un enigma, le parole si annientano a vicenda e la lingua italiana si affloscia in modo incomprensibile che, personalmente, raggiungo dei livelli di inquietudine e di riflessione a dir poco impareggiabili…
Per concludere… mi domando mesto: cari colleghi infermieri, professionisti intellettuali, ci sono davvero i presupposti per poter crescere, professionalmente parlando, se una parte numerica importante della nostra categoria è in queste drammatiche condizioni, si comporta come 30 anni fa e per di più ci fa anche la guerra?
Sarà mica il caso, per poter davvero evolvere, di iniziare a farci sentire sul serio, segnalando, scrivendo, protestando e denunciando, così da prendere seriamente le distanze da questo vecchiume e anche dall’incompetenza/ignoranza che regna incontrastata in una parte dell’infermieristica italiana?
Forse l’equipollenza dei titoli non è stata una grande idea… o, molto più probabilmente, come ho già riportato in un altro articolo (VEDI), la figura dell’infermiere sarebbe dovuta morire nel lontano 1994. Per far nascere qualcos’altro…
Qualcosa di diverso, di più serio e credibile, con competenze più specifiche, responsabilità più definite e soprattutto con un altro nome… il più possibile distante da quello di “infermiere”. Denominazione, questa, indissolubilmente legata ai “missionari”, agli sguatteri e agli ignoranti/umili factotum del passato.
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