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Giletti: infermieri imboscati. Ma siamo sicuri?

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Zoom su Giletti. Dietro di lui, campeggia una scritta grande e colorata: gli imboscati.

Ma chi sono gli imboscati, i protagonisti della trasmissione televisiva andata in onda sulla rai il 15 Gennaio u.s.? Ce lo spiega subito il conduttore, quando dice che, con imboscati, si intendono quelle persone che, pur non violando nessuna legge ma, anzi, sfruttando ogni cavillo offerto dalla legge stessa, fanno di tutto per non fare ciò per cui erano stati assunti.

Facciamo un esempio, continua Giletti: “pensate ad un infermiere che deve fare un lavoro molto duro in corsia, tutti i giorni. A un certo punto dice, ma perchè (devo continuare a fare questo – domanda)? Io usufruisco, magari, di qualche agevolazione e passo dietro ad una scrivania tranquillo e nessuno mi disturba più”. 

Altro esempio che ci riserva il presentatore sono i vigili urbani.

In Calabria, continua il conduttore, a Vibo Valentia per la precisione, in ambito sanitario, c’è un  tasso di agevolazioni di persone che usufruiscono di permessi per la l. 104 o altre agevolazioni che raggiunge il 34%.

E, ovviamente, non può mancare la frase finale: a discapito di queste persone ci sono, però, infermieri, medici, vigili che lavorano.

Certamente. Bravo, Giletti. Peccato che faccia molta confusione e non racconti le cose come stanno.

Innanzitutto, preme sottolineare come chi usufruisca dei distacchi previsti dalla L. 104/92, il riferimento legislativo “per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, è una persona che quotidianamente vive con una persona disabile, con tutte le problematiche e gli impegni che ciò comporta.

Nell’art. 4 della suddetta legge, si afferma che l’accertamento dell’handicap di una persona, che ha una procedura chiara e ben definita, avviene attraverso un esame effettuato da un’apposita commissione medica presente in ogni Asl. Sempre nel testo della legge, si definisce la persona con handicap come “… colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione“.

Con molta lungimiranza e estrema attenzione ai problemi sociali di una famiglia che offre assistenza a una persona con handicap:

  • Si prevede il loro coinvolgimento nei programmi di cura e riabilitazione della persona con handicap, in un percorso integrato di prestazioni sanitarie e sociali (Art. 7 comma 1).
  • Al nucleo familiare della persona handicappata, poi, vengono destinati interventi di  carattere  socio-psicopedagogico, di assistenza sociale e sanitaria a domicilio, di aiuto domestico e di tipo economico (Art. 8, comma 1 a).
  • Il lavoratore dipendente e genitore di un figlio con handicap, o coniuge oppure parente di persona handicappata ha diritto ad appositi permessi retribuiti (Art. 33). Nel dettaglio, le agevolazioni sono:
    • prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa, di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino.
    • Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile coperti da contribuzione figurativa, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno.
    • Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
    • La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso.

L’idoneità alla mansione, è un’altra cosa. Per idoneità alla mansione specifica, si intende “la qualità connessa alla validità biologica della persona che gli consente di svolgere, effettivamente ed in modo concreto, una specifica attività lavorativa senza che questa costituisca fattore di usura, controindicazione o pericolo in relazione alle patologie o infermità del soggetto, senza, quindi, che ne derivi danno alla salute”.

Il giudizio di idoneità alla mansione ha carattere:

  • preventivo, in quanto deve garantire l’integrità psicofisica del lavoratore in quella determinata mansione;
  • individuale, perchè è valida solo per quell’individuo;
  • probabilistico, perché quasi sempre deriva dalla sintesi di una valutazione congiunta dello stato di salute del soggetto in rapporto alla sua condizione lavorativa;
  • temporale, in quanto valido per un tempo limitato, quello che generalmente intercorre tra due controlli periodici. Unica eccezione è l’inidoneità assoluta permanente per una “malattia” che rimane valida per sempre.

Da un punto di vista pratico, il giudizio di Idoneità alla Mansione Specifica è quindi un giudizio prognostico redatto da un medico, il medico del lavoro, che:

  • deve tener presente la situazione clinica evidente e attuale e la possibile futura evoluzione spontanea;
  • deve tener presente le modifiche dello stato di salute in relazione al lavoro svolto, all’ambiente ed ai ritmi di lavoro;
  • deve essere oggetto di revisione dopo un certo periodo;
  • richiede in definitiva, oltre al buono stato di salute complessivo del soggetto alcune particolarità strutturali e funzionali, sensoriali e neuropsichiche necessarie per svolgere un determinato tipo di lavoro, oltre al buono stato di organi che possono ritenersi criticamente impegnati nella specifica attività.

A questo punto, però, è necessario entrare nello specifico professionale infermieristico, tralasciando gli altri lavoratori citati da Giletti.

Vista la peculiare differenza tra chi usufruisce delle agevolazioni concesse dalla L. 104/92 e chi, invece, ha un’inidoneità alla mansione, parziale o meno è necessario fare un discorso diverso.

In primis, però, sia nel caso delle agevolazione della L. 104/92 che nel caso di inidoneità alla mansione specifica, dal momento che ci sono dei percorsi chiari, condivisi e individuati dalle norme in vigore, effettuati da personale medico, è bene ricordare che non è permesso a nessuno, tanto meno a un conduttore, di giudicare, fino a prova contraria, la reale esistenza, rispettivamente di una disabilità di un familiare o, comunque, personale o, ancora,  di un problema di salute tale da inficiare l’idoneità alla mansione o a una parte di essa.

Per quanto riguarda, il personale che usufruisce di agevolazioni riconosciute dalla l. 104/92, c’è poco da dire. Sono persone che, purtroppo, hanno gravi problemi familiari e, il familiare con handicap è una persona che, noi infermieri dovremmo saperlo benissimo, non è un pupazzo che si accende a comando e che, quindi, ha bisogno di assistenza solo nei giorni di congedo previsti dalla normativa ma, ne hanno necessità continua e quotidiana. Quei giorni di permesso, non servono a far rifiatare la persona dai suoi compiti di assistenza familiare ma permettono al disabile di essere assistito in modo più “presente” o, magari, di essere accompagnato ad una visita.

Credo che tutti preferirebbero lavorare 6 – 7 ore al giorno e non dover aver un familiare con problemi di disabilità da assistere, anche se hai lavorato.

Per le certificazioni di inabilità alla mansione specifica, facciamo un discorso più ampio.

Quante volte, gli infermieri sono stati impiegati, più o meno volontariamente in attività straordinaria, anche in orario notturno, o saltando i riposi e non beneficiando di quel distacco necessario al recupero psico fisico della propria persona?

Eppure anche nell’ambito del rischio clinico si parla chiaramente dell’importanza di un adeguato riposo, proprio per prevenire gli errori in sanità.

Così come, in medicina, sappiamo che certi stili di vita stressanti conducono a problematiche di salute, anche gravi.

Questo atteggiamento, danneggia non solo i pazienti ma, anche, i lavoratori stessi e, questo, un professionista sanitario lo sà, deve saperlo. Danneggia, molto di più i lavoratori che hanno una predisposizione allo sviluppo di  certe condizioni patologiche. Questo lo dovrebbero sapere anche i dirigenti infermieristici e i coordinatori infermieristici che, invece, continuano a essere negligenti su questi aspetti.

I veri responsabili di un infermiere con limitazioni alla mansione specifica, sono proprio loro. E il mio discorso non è affatto demagogico ma, purtroppo, reale.

Quante volte, assistiamo, infatti, a infermieri con precise inidoneità non messi nelle condizioni di lavorare in modo sicuro? Quante volte, invece, vediamo posti che potrebbero essere ricoperti da questi colleghi, assegnati ad amici e ad amici di amici dei dirigenti, nel nostro caso infermieristici? Molte volte!! Anche, in questo caso, non tutti i dirigenti e i coordinatori infermieristici sono così. Ce ne sono, per fortuna, un buon numero, che sono preparati, competenti e che lavorano per il bene dell’utente, dell’azienda e dei dipendenti.

Ma, laddove, la condizione organizzativa non permette l’inserimento in ambienti lavorativi sicuri, sia in modo pro attivo che, in modo reattivo, dopo che il danno si è già verificato e la certificazione medica è stata rilasciata, siamo di fronte, molte volte, a inefficienze della dirigenza infermieristica o del coordinatore infermieristico stesso.

Per fare un esempio, ci sono infermieri estremamente preparati e formati che potrebbero lavorare in contesti specifici e altamente professionalizzanti che hanno esenzioni, ad esempio alla movimentazione manuale dei pazienti e che vengono bistrattati e inseriti in contesti di bassa professionalizzazione, solo perchè chi è deputato a creare ambienti lavorativi sani e organizzati, non ha nessun interesse a farlo.

Un infermiere con queste limitazioni, può tranquillamente lavorare anche in un reparto di area medica, ad esempio, se solo fosse messo nelle condizioni di fare ciò che la legge gli chiede, senza bisogno di passare, durante il suo turno di lavoro da infermiere, a oss, a portantino.

Perchè, diciamocelo chiaramente, l’infermiere in Italia, molto spesso, non è messo nelle condizioni di lavorare in modo sicuro, efficace ed efficiente, nel rispetto del proprio ruolo professionale. Iniziamo, tutti a pretendere un sistema migliore e vedremo che gli “imboscati” non saranno più “imboscati” ma colleghi a tutti gli effetti.

Per concludere, vorrei rispondere alla domanda di un ospite rivolta a Giletti, in cui si chiedeva se fosse casualità che in una città italiana ci sia un tasso di inidoneità alla mansione specifica e in un’altra meno. La risposta è una sola: No, non è casualità. La percentuale più alta è frutto di scelte organizzative scellerate e inadatte, fatte da chi ricopre posizioni apicali e non sa fare il proprio lavoro, considerando le proprie risorse umane solo come numeri e non, appunto, come risorse.

Le bugie e gli oscurantismi, lasciamoli agli altri.

 

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