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Fuga di infermieri in Svizzera, Aurelio Filippini (Opi Varese): “Italia deve valorizzare professionalità”

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Fuga di infermieri in Svizzera, Aurelio Filippini (Opi Varese): "Italia deve valorizzare professionalità"
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Intervistato da Varese News, il presidente dell’Ordine fotografa la situazione dell’infermieristica nella sua provincia e non solo.

Presidente Filippini la categoria che lei rappresenta è in forte difficoltà: manca personale e c’è molta stanchezza.
“La fotografia non è idilliaca, è vero. Per la prima volta l’anno scorso abbiamo chiuso in negativo, cioè abbiamo avuto più cancellazioni per pensionamenti o allontanamenti che nuovi iscritti. Anche la diminuzione di candidati che si presentano ai test d’ingresso del corso di laurea è un indizio che lascia intendere una disaffezione pericolosa per un lavoro di cui si percepiscono solo i sacrifici e i disagi. Poi siamo in una zona molto critica: il sistema sanitario svizzero soffre come il nostro e sta facendo man bassa di professionisti, puntando sulle condizioni economiche migliori. Anche il privato sta effettuando una discreta concorrenza. Detto questo, dobbiamo guardare alle potenzialità e alle prospettive future: ci sono nuove occasioni professionali, come l’infermiere di famiglia, e si sta rivedendo l’organizzazione del sistema sanitario e anche della produzione infermieristica. C’è la volontà di premiare il miglioramento delle competenze e la crescita professionale. Ci sono prospettive che magari non migliorano, ma almeno tamponano la situazione d’emergenza che viviamo. La sfida è quella di far comprendere alle nuove generazioni le peculiarità e le potenzialità di questa professione. Io amo il mio lavoro e conosco con quanta passione affrontino le sfide quotidiane tutti gli infermieri”. 

Ma cosa si può fare per rendere nuovamente attrattivo il vostro lavoro?
“Oggi agli infermieri viene chiesta una laurea e spesso anche il titolo magistrale. Il percorso accademico si è perfezionato e ampliato. Gli infermieri arrivano con percorsi accademici di cinque anni, con specializzazioni nel settore della chirurgia o della medicina d’urgenza. Purtroppo, però, non esiste ancora un riconoscimento nazionale. Il contratto è generale e, se escludiamo degli incentivi a carattere locale o aziendale, non è premiante nel rispetto della professionalità acquisita. Oggi l’infermiere, all’intero della rete di tutte le professioni, è in grado di prendersi cura, svolgendo in autonomia quanto prevede il suo ruolo. Finché non si ragionerà in termini di valorizzazione delle professionalità, la Svizzera sarà sempre competitiva perchè, oltre alla parte economica, ha anche una situazione organizzativa più favorevole. Oggi il sistema italiano ha un po’ appiattito il desiderio di essere migliori nella propria professione”.

C’è poi il tema dello squilibrio nel sostegno economico tra la formazione medica e quella infermieristica.
“Certamente. Oggi Regione Lombardia assegna borse di studio ai medici in formazione per la medicina del territorio. Si tratta di un contributo per i tre anni di corso. L’infermiere, che vuole fare un master per diventare infermiere del territorio e della comunità deve sostenere un costo di 2.500-2.900 euro. Lo stipendio è di circa 1.600 euro: chi può permettersi a queste condizioni il master? Una maggiore equità è tra le richieste che, come Ordine professionale, avevamo posto a tutti i candidati alle regionali. Ora vorremmo capire come intendono muoversi. Chiediamo di essere considerati per il valore che esprimiamo, uscendo da stereotipi ormai superati”.

Redazione Nurse Times

Fonte: Varese News

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