Iniziai la mia esperienza come infermiere nel lontano luglio 1977, giovane ragazzino di 16 anni in una scuola convitto di Roma (convitto solo per le ragazze) allora la formazione era regionale.
Il mio primo giorno di scuola in quel lontano 1977 fu di tirocinio in un reparto scuola senza neanche un secondo di lezione prima, ma allora i reparti dovevano essere coperti e quindi poco importava questo, poco importava che gli unici ‘professionali’ in turno oltre la ‘capo sala’ presente solo la mattina fossero studenti capo sala, questo era e così fu per tutti noi. Sulla qualità del corso di studi meglio non esprimersi, ma tanto allora serviva bassa manovalanza e poco importavano le competenze. Devo però dire per onestà intellettuale che le competenze (chi ne aveva voglia e curiosità) le si apprendevano sul campo, lavorando, perché di vero e proprio lavoro si trattava, nei reparti scuola.
Dopo tre faticosi anni arrivò il tanto ambito diploma di “Infermiere Professionale” e con lui il primo lavoro dopo pochissimi giorni…iniziò così la mia vita di infermiere nel SSN. Da allora sono passati tanti anni, ho visto nascere la riforma sanitaria n. 833 del ’78 e ho potuto constatare come sia stata disattesa lo spirito di quella legge lungimirante con il passare degli anni, fino a giungere ai giorni d’oggi.
Ho visto gli infermieri diventare dottori con il passaggio alla formazione universitaria ed ho lottato perché ciò avvenisse, ho visto conquistare la dirigenza infermieristica, ma per quello che riguarda la giusta evoluzione che ci si aspettava e sperava per la nostra professione non ci sono stati cambiamenti, anzi sicuramente si sono avuti dei peggioramenti…ai problemi di riconoscimento sociale e professionale si aggiunge anche un gravissimo problema occupazionale!
Pare che nel nostro paese gli infermieri non servano più e così vediamo stuoli di giovani laureati con la valigia in mano pronti ad emigrare per realizzare i loro sogni ed utilizzare quello che faticosamente hanno costruito.
Ma la colpa di tutto questo di chi è??
Difficile rispondere a questa domanda dal mio punto di osservazione e dalla mia personalissima esperienza posso dire che ci sono più fattori concomitanti che contribuiscono ad una sindrome asfittica che ci comprime e ci rende inermi.
Inermi di fronte al demansionamento, inermi di fronte ad una gestione della sanità ancora troppo medicocentrica, inermi di fronte alle nostre contraddizioni che ci vedono protagonisti di infinite diatribe tra vecchio e nuovo ordinamento tra nuove competenze e mansionario (a cui ancora troppi sono legati), inermi di fronte ad una formazione che pur essendo universitaria mantiene nel suo intimo ancora uno stretto legame con le vecchie scuole regionali e vecchie logiche di spartizione baronale, inermi di fronte ad una dirigenza infermieristica (laddove è istituita) fatta da dirigenti spesso senza titoli e competenze messi lì con roboanti carriere illuminate più da ‘santi in paradiso’ che da meritocrazia…che rispondono a logiche aziendali e non professionali, ed infine inermi di fronte ad una crisi economica che ci sta uccidendo al pari del resto del nostro paese.
Proviamo quindi ad analizzare scindendo questi fattori e cerchiamo di vederli uno per uno:
- Demansionamento, ancora fortemente radicato nella cultura sanitaria che vuole l’infermiere come un mero esecutore di ordini e compiti, e non una professione intellettuale responsabile dell’assistenza infermieristica come la legge prevede. Il Demansionamento rappresenta un vuoto che in nessun modo le aziende vogliono colmare, perché assumere altro costoso personale quando certe cose possiamo farle fare agli infermieri? …con la compiacenza di dirigenti da noi scelti e messi lì proprio per questo…con la compiacenza di ordini professionali che casualmente fanno finta di niente e non levano la loro voce autorevole in difesa della professione…con la compiacenza di molti colleghi che accettano di buon grado compiti demansionanti pur di non avere responsabilità che sono proprie di un professionista. Anche le nuove generazioni vengono instradate verso questa concezione dagli stessi corsi di laurea con una forte discordanza tra teoria e tirocinio pratico clinico dove si utilizzano gli studenti come manovalanza a costo zero. Cosa potrà mai esserci di formante passare giorni e giorni di tirocinio a chiudere R.O.T., a fare giro letti o ad accompagnare pazienti nei vari servizi soverchiati dal ricatto di un insindacabile giudizio della capo sala sul tirocinio complessivo dello studente o dalla pressione di colleghi che ‘scaricano’ su di loro lavoro poco qualificante?
- Sanità medicocentrica: la nostra organizzazione sanitaria è e rimane fondata sulla cura della malattia e quindi legata ad un ottica medicocentrica che disconosce tutto quell’universo che produce salute e che non è necessariamente medico. In altri paesi europei più o meno sviluppati e nel resto del mondo esistono modelli organizzativi diversi e si sono valorizzate le altre professioni sanitarie, in particolare gli infermieri, generando una sanità più efficace ed economicamente sostenibili con una migliore qualità. Nel nostro paese questo processo è bloccato ed efficacemente osteggiato da una vera e propria potente lobby che tende a difendere rendite di posizione e non permette a nessun’altra famiglia professionale di scalfire questa posizione dominante, nemmeno di fronte all’evidenza che la indica ormai come obsoleta e sicuramente antieconomica portando allo sfacelo il S.S.N.
- Dirigenza infermieristica: nelle aziende sanitarie dove è presente una seppur minima forma di dirigenza infermieristica, salvo rare eccezioni, questa è stata individuata per lo più non secondo criteri di meritocrazie e trasparenza, ma seguendo canali diversi e funzionali agli scopi aziendali. In questo c’è lo zampino malevolo della politica e del sindacato che hanno promosso nel tempo carriere fulminanti di personaggi spesso impreparati e senza le necessarie competenze, ricattabili, a volte ancora legati a logiche mansionariali, con dei risultati davvero raccapriccianti. Una dirigenza infermieristica che resta subordinata e succube del management aziendale, della politica che gli ha garantito il posticino al sole e di logiche sindacali che sempre più spesso sono funzionali a quelle aziendale e lontane anni luce da un’effettiva rappresentanza degli infermieri all’interno delle aziende e più in generale nei tavoli regionali e nazionali.
In questa ottica vale la pena anche spendere qualche parola sulla dirigenza Ipasvi, che sta per evolversi in ordine professionale, proprio come per i medici, sembrerebbe un passo in avanti non indifferente. Quello che manca è lo scatto culturale dei massimi rappresentanti della nostra professione, mentre scontiamo il loro ‘funzionale immobilismo’ (alcuni di loro casualmente sono dirigenti nelle aziende sanitarie ed emeriti insegnanti in molti corsi di laurea in infermieristica) le cose vanno avanti e ci troviamo nella condizione paradossale che mentre si discute di competenze avanzate per gli infermieri, nelle corsie ospedaliere di tutta Italia si spendono quelle ‘arretrate’ con ‘giro letti’, ‘giro pannoloni’, chiusura dei R.O.T. e qualche volta anche pavimenti da lavare!
Ma siamo davvero così inermi di fronte a tutto questo? E’ davvero impossibile cambiare queste cose?
Personalmente credo di no e che cambiare nonostante tutto si può e si deve, già nel 1994 la professione è riuscita con una forte presa di posizione e con una imponente manifestazione di massa ad ottenere importanti risultati.
Abbiamo quindi al nostro interno la forza contrattuale necessaria ed abbiamo dimostrato in passato di essere capaci di creare i necessari rapporti di forza per generare un cambiamento così grande e così fortemente osteggiato, ma tutto questo sarà possibile solamente se saremo capaci di recuperare lo spirito di quegli anni, la voglia di crescere e quello spirito di unità di intenti…altrimenti resteremo confinati ad essere inermi e vittime sacrificali di una sanità che ha il dovere di cambiare, ma non ha nessuna intenzione di farlo, bloccata come è dalla difesa di posizioni di potere che lobby molto bene organizzate e potenti non hanno nessuna intenzione di condividere con altre famiglie professionali!
Quello a cui siamo chiamati oggi come allora è uno scatto di dignità, ogni singolo infermiere deve rendersi conto che solo così potremo affermare la nostra professione ed essere protagonisti della salute che cambia inesorabilmente!
Quello che abbiamo davanti oggi è un bivio, o si va avanti, o si torna indietro; ed io non credo che la nostra professione abbia voglia di tornare indietro, dobbiamo perciò essere capaci tutti insieme di recuperare lo spirito e la combattività di quegli anni, so che è difficile se non arduo, ma è l’unica strada percorribile!
Angelo De Angelis
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