In Campania il più elevato numero di casi di HCC, tra i tumori più aggressivi e una delle prime cause di morti oncologiche nel mondo.
Fare il punto sulla presa in carico del paziente con epatocarcinoma in Campania, evidenziare l’importanza del lavoro sinergico dei team multidisciplinari, individuare le zone d’ombra e le aree di miglioramento, confrontarsi sulle soluzioni per migliorare la conoscenza e l’informazione sulla patologia e sulle innovazioni diagnostiche e terapeutiche disponibili. Sono questi gli obiettivi della tappa di Napoli di “Uniti e Vicini ai Pazienti con Epatocarcinoma”, il roadshow promosso da Roche con il patrocinio di EpaC Onlus.
L’epatocarcinoma (HCC) è uno dei tumori più aggressivi e una delle prime cause di morti oncologiche nel mondo. In Italia, nel 2020, i nuovi casi stimati di tumori epatici sono stati 13mila e l’epatocarcinoma rappresenta il 75-85% dei casi. Oggi, grazie ai progressi scientifici e alle innovazioni diagnostiche e terapeutiche, la prognosi della patologia è in miglioramento, ma questo si accompagna a una maggiore complessità della sua gestione, che pone alcune sfide sia dal punto di vista clinico che organizzativo.
La presa in carico del paziente con epatocarcinoma, infatti, deve essere guidata da un team multidisciplinare, composto da epatologi, chirurghi, oncologi e radiologi interventisti e altri specialisti che, lavorando in sinergia fin dal momento della diagnosi, possa individuare il miglior trattamento possibile per il paziente e indirizzarlo verso strutture di eccellenza e ad alta specializzazione, con la garanzia di accesso ai migliori percorsi di diagnosi e cura. Il team definisce il trattamento personalizzato sul paziente in base alle patologie esistenti o pregresse, alle condizioni e alla morfologia del fegato e del tumore, alle comorbidità, alle riserve funzionali epatiche, alla rapidità di crescita dalla diagnosi, con il supporto di linee guida e Pdta regionali.
“L’approccio multidisciplinare è tutto, come dimostrano i dati: la Campania storicamente paga un prezzo altissimo alla cirrosi epatica, all’epatocarcinoma, ma grazie all’organizzazione che avviene attraverso i gruppi oncologici multidisciplinari i risultati sono drasticamente cambiati in senso positivo – ha spiegato Ernesto Claar, responsabile Uosd Epatologia dell’ospedale evangelico Betania di Napoli, all’agenzia Dire –.
La multidisciplinarietà garantisce al paziente una sicurezza nei percorsi, una certezza delle cure e un timing preciso su cosa deve e come deve fare. La sensazione del cittadino campano è cambiata, ha ormai capito che non c’è più bisogno di migrazione sanitaria e che l’organizzazione campana è efficiente ed efficace”.
Il Pdta regionale si prefigge di fornire un percorso di riferimento unico per il paziente con epatocarcinoma, ottimizzare i tempi di diagnosi e di trattamento, implementare sistemi informatici comuni di raccolta dei dati, fruibili dai professionisti ospedalieri che operano lungo il percorso e integrare le diverse competenze specialistiche che concorrono alla gestione del paziente con epatocarcinoma, assicurando la multidisciplinarietà e la disponibilità al dialogo tra operatori ospedalieri ed il medico di medicina generale.
“La strategia è di solito sempre rilevante nell’ottica di ottenere obiettivi importanti – ha sottolineato Sabino De Placido, direttore dell’Uoc di Oncologia medica dell’Azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli, parlando alla Dire –. Lo è soprattutto in medicina. In questo campo si sta dimostrando vincente la strategia di una multidisciplinarietà di specialisti con una centralità del paziente. La Campania ha investito moltissimo su questo, ha creato una rete oncologica, la Roc, che si basa su questi principi: i due pilastri essenziali sono la costituzione di percorsi diagnostico terapeutici altamente tecnologici e i team multidisciplinari di cura, i due pilastri che reggono la rete e fanno sì che i pazienti possano essere seguiti meglio. Questa condivisione non è soltanto nelle grosse strutture, è permeata su tutto il territorio, mettendo in collaborazione le strutture più grandi anche con quelle più periferiche, quindi con una condivisione di tecnologie anche dove la tecnologia forse non sarebbe arrivata”.
L’epatocarcinoma ha un effetto importante sui pazienti e sulle loro famiglie, che hanno necessità di avere informazioni chiare e precise sui percorsi di cura, sui trattamenti e sulle strutture in grado di seguire al meglio il loro percorso diagnostico-terapeutico.
“Noi siamo amareggiati quando un paziente migra fuori dalla Campania per andare in un centro molto meno performante del nostro peggior centro – ha evidenziato Carmine Coppola, dirigente di Medicina interna, Epatologia ed Ecografia interventistica dell’Asl Napoli 3 Sud –. È brutto vedere cattive pratiche svolte altrove e poi magari quel paziente, la cui cura è stata impostata male dall’inizio, torna da noi e dobbiamo seguirlo con difficoltà drammatiche. Se invece riusciamo, come stiamo facendo, a inserire i pazienti in un contesto di multidisciplinarietà, se c’è un team facciamo capire al paziente che ci prendiamo cura del singolo, lo seguiamo in tutte le fasi e con le migliori professionalità esprimibili in Campania e che non sono assolutamente seconde a nessuno in Italia”.
Alla tavola rotonda di Napoli hanno partecipato anche; Giovan Giuseppe Di Costanzo, responsabile della Uoc di Epatologia e Unità pancreas dell’Aorn Cardarelli; Bruno Daniele, direttore della Uoc di Oncologia dell’Ospedale del Mare; Maria Rosaria Romano, dirigente della Uod 04 Assistenza ospedaliera della direzione generale per la Tutela della Salute e coordinamento del Sistema sanitario regionale; Ivan Gardini, presidente di Epac Onlus; Sandro Pignata, responsabile scientifico della Rete Oncologica Campana e direttore della Uoc di Oncologia medica Uro-Ginecologica dell’istituto Nazionale Tumori Pascale; Giovanni Vennarecci, direttore della Uo di Chirurgia epatobiliare e trapianti di fegato dell’Aorn Cardarelli; Roberto Troisi, direttore della Uoc di Chirurgia epato-bilio-pancreatica, mininvasiva e robotica dell’Aou Federico II; Erika Martinelli, professore associato di Oncologia medica della Uoc Oncologia medica ed ematologia del dipartimento di Medicina di precisione dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”; Filomena Morisco, professore ordinario di Gastroenterologia del dipartimento di Medicina clinica e chirurgia dell’Aou Federico II; Antonio Avallone, direttore dell’Oncologia clinica sperimentale addome dell’Istituto Nazionale Tumori Pascale; Francesco Fiore, direttore della Sc di Radiologia interventistica dell’Istituto Nazionale Tumori Pascale.
Roche è impegnata a combattere i disordini del fegato in tutto il percorso della malattia, dalle prime fasi fino a quella avanzata, con l’obiettivo finale di fermare un giorno le patologie croniche del fegato.
Redazione Nurse Times
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