Quasi 180mila pazienti trattati. In carcere un detenuto su 3 è viremico, contro i 2 casi su 3 finora emersi dalle analisi. Significativo il ritorno degli investimenti per migliorare la salute.
Il carcere si conferma un concentratore di patologie: dalle malattie psichiatriche all’HIV, dal diabete all’HCV, senza dimenticare neoplasie e malattie cardiovascolari. Questi primi dati preliminari sembrano indicare una riduzione dei pazienti viremici da sottoporre alle terapie rispetto all’atteso.
“Quello che ha colpito maggiormente durante questa fase iniziale di screening è che i detenuti sono maggiormente informati e sono disposti a farsi aiutare in caso di malattia – spiega Sergio Babudieri, direttore scientifico della SIMSPe – Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria –. La facilità nella somministrazione del test orale per epatite, veloce e non invasivo, è stato ben accolto da tutta la popolazione presente, con risultati sorprendenti. Se prima, infatti, si pensava che fosse di circa il 70% la percentuale dei viremici, i dati finora raccolti parlano “soltanto” di un 30%. E l’HCV è una malattia che produce malattia. Abbiamo trovato una tendenza, e quindi non ancora un dato scientificamente valido, che trova però riscontro anche con altre ricerche in corso. Sembrerebbe che molte persone che vengono a contatto con il virus lo eliminano in maniera spontanea. Questo trend, se venisse confermato dalle successive fasi di screening, abbasserebbe di fatto l’allarme su questa malattia, e quindi renderebbe possibile l’obiettivo previsto per il 2030, anche prima di questa data. Rimangono però da combattere gli altri gruppi maggiormente a rischio: parliamo dei tossicodipendenti, di quelli dediti a tatuaggi e piercing, dei giovani sessualmente attivi con partner multipli”.
L’APPUNTAMENTO CON IL “VIAGGIO DEL PAZIENTE HCV” – Se n’è parlato al Senato, presso la Sala Isma di Roma, durante l’incontro sullo stato di avanzamento del lavoro del Piano di Eliminazione dell’Epatite C in Italia, alla presenza di tutti gli attori interessati, istituzioni, specialisti, pazienti, economisti, e con i patrocini di SIMIT, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali, e dell’Istituto Superiore di Sanità. L’obiettivo di questo evento è quello di affrontare diversi temi e scenari di identificare e di capire i bisogni di cura complessivi della popolazione infetta da HCV in Italia ai fini identificare possibili strategie per raggiungere gli obiettivi dell’OMS di eliminazione dell’infezione da HCV entro l’anno 2030.
Su iniziativa del presidente della XII Commissione Sanità Commissione Igiene del Senato Sanità, Pierpaolo Sileri, alla presenza dei senatori Paola Binetti e Gaspare Marinello, della vicepresidente della XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, Rossella Boldi, del mondo istituzionale, con il prof. Stefano Vella e Annarita Ciccaglione, direttore reparto Epatiti ISS, specialisti, tecnici, farmaco economisti e rappresentanti dell’associazione pazienti EpaC onlus, nonché dei manager delle principali aziende farmaceutiche (Gilead, AbbVie, MSD), impegnate nell’eliminazione del virus attraverso l’utilizzo di nuove terapie efficaci in poche settimane, la tavola rotonda moderata dal giornalista Daniel Della Seta ha permesso di mettere a fuoco le priorità e le necessità di ciascuno per contribuire a questa battaglia culturale. Per arrivare all’obiettivo zero epatite C ci vogliono delle risorse, attualmente da identificare, dedicate oltre ai farmaci innovativi per attività di screening, di linkage to care, di informazione e comunicazione alla popolazione.
“Occorre dare l’ultima spallata alla malattia e permettere di completare quest’ultimo miglio contro il virus. Il rischio è di retrocedere come dimostrato dal calo di accesso alle terapie” , ha evidenziato Massimiliano Conforti, vicepresidente EpaC onlus. Ad oggi l’Italia segna importanti traguardi raggiunti, oltre 176.810 i pazienti sono in cura, e ne restano diverse decine di migliaia che spesso non sanno nemmeno di essere portatori del virus.
“A loro e ai medici di famiglia – ha concluso Salvatore Sciacchitano, capo della segreteria del sottosegretario alla Salute, Armando Bartolazzi – si rivolge la comunità scientifica di infettivologi e epatologi, e questo network messo in campo deve coinvolgere le stesse famiglie perché possano spingere i loro cari, siano i pazienti ignari o coscienti, alla cura nei centri prescrittori, cura gratuita tramite somministrazione orale efficace e risolutiva della durata di poche settimane. Il criterio mostrato dagli economisti delle coorti suddivise per anno di nascita, i parametri evidenziati per gli scenari di screening graduati e non graduati, e l’importanza degli investimenti che generino un miglioramento della salute, mettono in luce una storia di successo in Italia. Il caso di regioni virtuose come il Veneto, la Campania e la Sicilia, evidenzia il grande lavoro che è stato fatto e quanto resti da fare entro la fine del 2019″.
I NUMERI DELLE CARCERI – Secondo le ultime stime, sono 47.257 i nuovi ingressi in carcere nel 2018: il 57,2% sono italiani, di cui 25.097 maschi e 1.915 femmine; il restante 42,8%, invece, è straniero, di questi 18.682 maschi e 1.563 femmine. Ad oggi, in Italia, si contano 190 istituti aperti e 60.611 detenuti presenti, con un sovraffollamento di 10.097 unità rispetto alla capienza massima. Di questa totalità, il 33,7% sono uomini stranieri, mentre le donne straniere sono l’1,6%. Mentre quelli detenuti per droga sono il 34,9%. Secondo i dati 2017, invece, le fasce di età prevalenti sono quelle tra i 30-39 anni (31,1%), tra i 40 e i 49 anni (26,9%), dai 20 ai 29 (19,1%).
IL VIRUS – Il virus dell’epatite C (HCV) è una delle principali cause di morbilità e mortalità correlate al fegato in tutto il mondo. Si stima che 71 milioni di persone siano affette da infezione cronica da virus dell’epatite C, di cui un numero significativo progredisce sino a giungere alla cirrosi o al cancro del fegato in assenza di un effettivo trattamento antivirale. Lo sviluppo della terapia antivirale ad azione diretta (DAA) ha rivoluzionato l’approccio al trattamento e ha dato maggior forza alle iniziative di sanità pubblica volte a identificare i pazienti con epatite cronica da HCV.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) prevede una sensibile riduzione dell’infezione da HCV entro il 2030 attraverso il raggiungimento degli obiettivi strategici per il settore sanitario globale (GHSS) per l’epatite. Tuttavia, considerando che l’Italia conta un numero di infezioni piuttosto alto di HCV nella popolazione, è necessario identificare possibili strategie per aumentare la diagnosi e il trattamento delle persone infette.
“Oggi, nel mondo la maggioranza delle nuove infezioni sono trasmesse ancora attraverso lo scambio di siringa o di oggetti contaminati tra tossicodipendenti – sottolinea il Massimo Galli, presidente SIMIT – In quest’ottica è quindi chiaro che un progetto di trattamento con l’obiettivo di eliminare l’infezione debba prevedere interventi mirati volti a curarli”. Va ricordato che il virus ha colpito chi oggi ha un’età compresa tra i 55 e i 65 anni, ovvero coloro che negli anni ’60 e ’70 sono stati contagiati, per diversi motivi, anche a causa del mancato utilizzo dei materiali monouso, arrivati qualche anno dopo. Ed è su questa ampia fascia di popolazione che sono indirizzate le attenzioni degli specialisti.
A incoraggiare una sempre più necessaria e urgente strategia di terapia in questa direzione, il dato dimostrato che le terapie finora somministrate in persone tossicodipendenti attivi siano perfettamente efficaci al pari di tutti gli altri pazienti. “La tossicodipendenza quindi non è un fattore che modifica l’efficacia dei trattamenti – conclude il clinico – E una volta stabilito l’urgenza di prendere in carico queste persone, dobbiamo attuare strategie finalizzate per far emergere il sommerso in queste popolazioni, ossia avviare campagne di screening per individuare con sempre più capillarità i pazienti da trattare e portare a guarigione”.
Redazione Nurse Times
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