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Emilia, infermiera in pensione di 101 anni, ospita a casa due bimbe e una nonna fuggite dalla guerra in Ucraina

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Emilia, 101 anni ed infermiera in pensione, ospita a casa due bimbe e una nonna ucraine
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Emilia Deliliers è entrata nella Croce Rossa a 18 anni insieme alla gemella. Il velo dell’uniforme indossato con orgoglio per una vita intera, l’aiuto e l’apertura agli altri, che fossero feriti, soldati, amici o nipoti, intesi come missione. E anche adesso, che di anni ne ha 101, non si è certo tirata indietro. Nella sua casa di Napoli, in zona Chiaia dove tutti affettuosamente la chiamano ancora la “signorina”, Emilia ospita oggi tre profughe del conflitto in Ucraina. Le due nipotine di Maria, che ha 61 anni, è vedova da trentadue e l’assiste come badante da dodici, sono arrivate martedì insieme alla nonna materna, con la quale vivono in campagna a 60 km da Leopoli. Là la guerra non è ancora arrivata, ma in lontananza si sentono bombe e sirene. 

Il viaggio

Nonna Marena, che è russa ma vive da lungo tempo in Ucraina, Masha, di 6 anni e Veronika, di 9, sono scappate venerdì notte grazie a un passaggio in auto che le ha portate a 10 km dalla frontiera con la Polonia. Poi hanno proseguito a piedi. «Venerdì notte sono state all’addiaccio», racconta Maria, «e faceva freddissimo. Le bimbe erano molto spaventate e avevano urgenza di un bagno. Poi hanno camminato altri 5 km e sono finite in un centro di prima accoglienza dove hanno potuto mangiare, e riposarsi su un letto». Infine domenica Maria, dall’Italia, è riuscita a fare tre biglietti on line per un volo Cracovia-Napoli. Anche i genitori di Masha e Veronika vivono a Napoli, dove lavorano come badanti. Il papà delle bimbe è uno dei quattro figli di Maria. Pure la sorella vive a Napoli, domestica, mentre gli altri due fratelli sono in Ucraina. 

Il Monopoli e la cioccolata

«Ho il terrore che possano essere chiamati a combattere», racconta Maria, un fiume in piena e la paura negli occhi: «Anche il padre delle bimbe che vive qui è combattuto: ha paura di essere considerato un vigliacco dai suoi amici ucraini perché si è sottratto alla guerra, ma se parte perde la possibilità di avere il permesso di soggiorno in Italia che aspetta da tanto». I giorni trascorrono nell’ansia e nell’attesa. Che la guerra finisca presto, o che si possa trovare un alloggio grazie all’aiuto del Comune.

Perché la casa di Emilia è davvero piccola per cinque persone. Ma intanto si sta insieme, si aspetta, si spera, e si prova a far distrarre le piccole. Arrivano a fare visita Elisabetta, adorata pronipote di Emilia, e la sua piccola Nina, otto anni, che subito imbastisce una partita a Monopoli con Masha e Veronika, naturalmente nella lingua dei bambini. Poi Marena caccia fuori cioccolata e caramelle, arrivate dall’Ucraina, e per Nina sono le più buone che abbia mai mangiato. 

Emilia Deliliers e la sua gemella
Emilia Deliliers e la sua gemella 
Infermiera in guerra

La strana parabola della vita, oggi che il suo cuore è sempre aperto ma la sua coscienza è sempre un po’ meno vigile, ha riservato ad Emilia una piccola nuova famiglia da accogliere e un’altra guerra da osservare, da lontano, ma in fondo, ancora una volta, da vicino. Nata a Milano nel 1921, nell’Italia fascista appena uscita dall’epidemia della Spagnola, quando lei e la sua gemella hanno tre anni, la mamma si separa dal marito, affida le bimbe alla nonna e parte per gli Stati Uniti, un contratto formale da corista al Metropolitan e un impiego reale come segretaria del famoso direttore d’orchestra Tullio Serafin.

Cinque anni dopo torna in Italia con un nuovo marito, un ingegnere vedovo di origini partenopee, e un’altra figlia, prende le gemelle e tutti insieme si trasferiscono a Napoli. È qui che Emilia ha percorso la sua lunga strada. Il lavoro che l’ha resa autonoma, l’indipendenza rivendicata con orgoglio, tanti amori ma nessun matrimonio, il legame fortissimo con la gemella, per la quale è stata infermiera (e medico) senza sosta, fino alla fine, nei giorni di una dura malattia, i tanti nipoti e pronipoti, vissuti e amati come figli. In mezzo la Seconda guerra mondiale, che l’ha vista, con l’uniforme e il velo, prestare soccorso ai soldati, e un’altra pandemia, quella del Covid. E ora una nuova opportunità per accogliere, sperando che tutto finisca al più presto.

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere del Mezzogiorno

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