L’innovativo approccio terapeutico funziona quando le altre cure falliscono. Ma è molto costoso.
L’emicrania si presenta come un dolore acuto e pulsante, della durata di ore o giorni. Talvolta è accompagnato da nausea, vomito, fastidio per la luce e per i suoni. Si tratta di una patologia disabilitante che è stata identificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) come la malattia che causa maggiore disabilità nella fascia di età tra 20 e 50 anni, ossia nel momento della vita in cui le persone sono più produttive. Nel nostro Paese sono circa 6 milioni le persone che soffrono di emicrania: il 12% della popolazione.
Fino a non molto tempo fa si curavano le persone che soffrono di questa malattia utilizzando farmaci sviluppati per curare altre patologie come gli antidepressivi, gli antiepilettici o gli antipertensivi: farmaci caratterizzati da una discreta efficacia, ma gravati da, talvolta, intollerabili effetti collaterali. Recentemente l’armamentario a disposizione degli specialisti che si occupano di emicrania si è arricchito di un innovativo approccio terapeutico che prevede l’utilizzo di anticorpi monoclonali sviluppati artificialmente e diretti contro una particolare molecola nota come Cgrp (Calcitonin Gene Related Peptide), che quando prodotta in eccesso dal nostro organismo può provocare un’infiammazione che svolge un ruolo fondamentale nella genesi della malattia.
Questa cura rivoluzionaria ha portato a un nuovo modo di affrontare la patologia, perché è in grado di agire sulla causa dell’emicrania e riesce quindi a prevenirla: nei pazienti trattati si è assistito infatti alla riduzione della frequenza, dell’intensità e della durata degli attacchi emicranici nel corso del tempo. Inoltre la somministrazione avviene una sola volta al mese. Tutto questo ha portato un beneficio enorme sulla qualità di vita dei nostri pazienti.
Tuttavia l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha introdotto nel luglio del 2020 una serie di limitazioni all’utilizzo degli anticorpi monoclonali che vengono erogati a spese del Sistema sanitario nazionale. L’Aifa ha infatti vincolato la rimborsabilità del farmaco prevedendo la sospensione obbligatoria della terapia dopo 12 mesi di trattamento per almeno tre mesi. La normativa prevedeva poi che si potesse riprendere la cura, qualora si fossero ripresentate le caratteristiche che ne supportavano la prescrivibilità.
Proprio su quest’ultimo tema, come presidente della Società italiana di neurologia (Sin), di concerto con il professor Paolo Calabresi, presidente della Società italiana per lo studio delle cefalee (Sisc), e con il professor Piero Barbanti, presidente dell’Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee (Anircef), ho interpellato il 23 aprile scorso l’Agenzia per chiedere di elaborare insieme una soluzione a tale disposizione regolatoria tenendo presente il bene dei pazienti emicranici che venivano pesantemente penalizzati da questa delibera, poiché erano destinati a stare nuovamente male per mesi senza la possibilità di vedersi prescrivere un’alternativa terapeutica efficace in regime di rimborsabilità.
Le persone che consideriamo adatte al trattamento con anticorpi monoclonali sono infatti pazienti adulti che negli ultimi tre mesi abbiano presentato almeno otto giorni di emicrania disabilitante ogni mese (definita come punteggio del questionario Midas: ≥11), e che sono già stati trattati in maniera non soddisfacente con altre terapie di profilassi per l’emicrania. Per prescrivere gli anticorpi, infatti, richiediamo che le altre cure non abbiano dato risultati sufficienti dopo almeno sei settimane di trattamento; richiediamo altrimenti che i pazienti siano intolleranti o presentino chiare controindicazioni ad almeno tre precedenti classi di farmaci per la profilassi dell’emicrania.
Inoltre la sospensione della terapia con anticorpi anti Cgrp dopo 12 mesi di trattamento imposta dall’Aifa non aveva al suo fondamento dei dati scientifici univoci, ma era stata decisa sulla base di quanto avveniva e avviene con i vecchi farmaci antiemicranici: approccio non giustificabile, essendo gli anticorpi privi di quella pletora di effetti collaterali che caratterizzavano le vecchie cure e che pertanto rendevano necessaria la sospensione di terapie poco tollerabili.
Le osservazioni poste all’attenzione dell’Aifa sono state velocemente recepite e, a breve, i pazienti in terapia con anticorpi monoclonali anti-Cgrp non saranno più costretti ad attendere i famigerati tre mesi di sospensione che facevano seguito ai 12 mesi di terapia, prima di riprendere il trattamento antiemicranico specifico. Ciò non solo permette alle persone che soffrono di tirare un sospiro di sollievo ma libera noi clinici dal senso di impotenza e smarrimento che provavamo quando ci trovavamo costretti a sospendere, senza alcun apparente motivo scientifico ne’ clinico, una terapia efficace e altamente tollerabile.
Infine le precedenti disposizioni Aifa provocavano problematiche di ineguaglianza sociale in quanto il trattamento con anticorpi monoclonali, nel corso dei tre mesi di sospensione obbligatoria, poteva essere prescritto in regime di “non rimborsabilita?”, permettendo quindi solo ai pazienti che potevano affrontare un esborso ingente, la possibilità di non interrompere il trattamento.
Redazione Nurse Times
Fonte: la Repubblica
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