Quando viene meno la possibilità di un’alternativa si aprono molteplici significati che solitamente non poggiano le loro radici in terreni fertili.
È da alcuni anni, come tutti abbiamo potuto notare, che nei vari ambiti istituzionali della nostra società, sta via via scemando quella rigogliosità di idee, di programmi, di dialettica, che rendono viva e partecipata l’irrinunciabile coesione alla costruzione di progetti, che possano trovare la loro spendibilità all’interno di una prospettiva etica di crescita e miglioramento.
Cosa sta venendo a mancare?
Non può essere il semplice fatto di aver raggiunto una situazione così ottimale da spegnere ogni slancio verso qualcosa di più organicamente compiuto, vediamo che così non è, però si percepisce una difficoltà enorme a mettere in campo forze ed energie non solo per contrastare uno status quo deludente, ma anche per proporre alternative che abbiano il sapore della novità e della progressione.
Autore, in buona sostanza, rimane un sostantivo generico, chi è causa o origine di una cosa, un artefice, un promotore, non c’è in automatico l’adesione a qualcosa che ne qualifichi l’operato, per cui di conseguenza non è possibile, partendo dal termine, capire se poter gioire o rattristarsi sin da subito per un futuro che ci è al momento precluso nella sua insondabilità, a meno che non si eserciti l’attività di chiromante o veggente.
Ciò di cui si può essere certi è il passato, quanto temporalmente concluso e quindi qualitativamente certificabile. Una crepa che va via via ampliandosi all’interno delle strutture organizzative sociali è la distorsione che si genera, sempre più frequentemente, tra elitismo e i suoi rapporti con ciò che viene definito base.
L’élite è rappresentata solitamente da uno sparuto numero di persone, mentre la base più numericamente consistente è ciò su cui poggia tutto quanto le sta sopra.
Il potere illuminato sa che al centro di questa distanza deve permanere lo spazio vitale della mediazione, perché la crepa non possa aumentare di dimensioni sino a diventare insanabile elemento di destabilizzazione.
L’acquisizione del potere quindi, deve necessariamente andare di pari passo con il miglioramento dell’organizzazione, mediando e scegliendo il compromesso più rispettoso possibile di tutte le parti in campo.
Il potere deve essere in buona sostanza «capacità di ottenere benefici per il futuro» (Pizzorno).
Ecco l’ingrediente mancante alla definizione che una lista, candidata alle prossime elezioni FNOPI, si è voluta dare, i benefici dovranno ricomprendere tutti i costituenti l’organizzazione, diversamente si scivolerebbe pericolosamente verso quell’elitismo ed autoreferenzialità, che in tanti abbiamo notato durante quel passato che sta per concludersi.
Purtroppo sta avvenendo un cambiamento rappresentato dallo spostamento dell’immagine che ha l’elettore nei confronti del candidato, che un tempo era animata dall’ammirazione per evidenti capacità politiche (nel senso più nobile di questo termine), oggi liquefatta e senza più forma, che tende verso l’illusorietà di una identificazione, quindi non ci si spende più sul terreno delle capacità, ma su quello di una immedesimazione decidua e illusoria, un desiderio di imitazione, che solitamente accompagna le prime fasi dell’età evolutiva e la costruzione di una propria identità: «l’elettore trova cioè nel candidato il riflesso di un se stesso immaginario, ed eleggendolo realizza una specie di riscatto per delega di proprie ambizioni deluse» (Pizzorno).
Ecco che di conseguenza la mancanza di alternative finisce col collimare nell’impossibilità di considerarsi imitabili, di occupare uno status all’interno del quale chi è chiamato ad eleggere ha necessità di riconoscersi e questo paradigma non si è concretizzato.
Non vi sono colpe ovviamente, c’è semplicemente un cambiamento nella logica votante-votato.
Non si va quindi a scegliere dei rappresentanti, ma a nominare un numero stabilito di funzionari di cui scarsamente conosciamo le competenze: e questo è un male.
«il nostro è un voto contro l’isolamento in cui ci sentiremmo se non votassimo anche noi» (Pizzorno).
Dario Porcaro
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