Quando il Prof. Cavicchi parla, gli Infermieri di solito ascoltano, riflettono e poi discutono.
La sensazione di chi scrive è che uno dei suoi ultimi interventi sia passato sotto silenzio, come se le sue parole in qualche modo potessero risvegliare il popolo infermieristico da un bel sogno.
In realtà in quelle righe ho trovato, come spesso mi capita, l’amore per una professione che vorrebbe vedere decollare ed invece rimane spesso a terra, con il naso all’insù. Pensare che siamo dotati di ali, il problema è che nessuno ha spiegato noi come si devono utilizzare.
Ivan Cavicchi mette il dito nella nostra ferita più grande, la presunta rivoluzione del Febbraio del 99 (potrebbe essere il titolo di una canzone) con la Legge 42 che sulla carta ha stracciato l’ausiliarità della professione portandola in una fase post che mai è stata realmente governata e che si è rivelata un pesante terreno fangoso che ha rallentato e alla fine fermato l’avanzata delle truppe Infermieristiche come il fango ed il freddo fermarono prima Napoleone e poi la Wehrmacht nelle steppe russe.
A peggiorare la situazione è poi giunto il famoso comma 566 che ha avuto l’effetto del famoso missile balistico V2, utilizzato dalla propaganda nazista a guerra ormai persa ma capace di alimentare una speranza di riscatto prima della fine.
Per quanto i paragoni possano apparire forzati e probabilmente non congrui per analizzare l’attuale politica infermieristica, trovo però in alcuno passaggi di Ivan Cavicchi quella sensazione di “occasioni perdute” che avremmo dovuto avere il coraggio di analizzare all’alba del rinnovo del Consiglio Direttivo Nazionale ovvero quando si è deciso di terminare con l’esperienza Silvestro e si è scelto di iniziare l’era Mangiacavalli.
Il primo passo politico che si doveva fare, in maniera trasparente, era analizzare gli errori che si erano commessi negli anni che avevano causato alla professione questa sorta di immobilismo ingiustificato dal momento che c’erano tutte le condizioni per crescere: condizioni normative, condizioni formative, condizioni culturali. Forse quest’ultime erano ancora in fase di costruzione ma non si può negare che esistevano (ed esistono) sacche di cultura infermieristica avanzate, penso a Nursind, penso ai Collegi di Milano, Firenze e Bari, penso ai Colleghi organizzati, penso ai Colleghi costretti ad emigrare.
Questo momento di autocritica, che doveva avere lo scopo di mettere a nudo le responsabilità, non è avvenuto, si è preferito andare avanti senza quel coraggio di guardarsi indietro con il risultato di portare con se i demoni di cui parla Ivan Cavicchi “E’ l’arroganza, la presunzione, l’egoismo, il narcisismo, l’incapacità, una concezione padronale del potere, il dispotismo da quattro soldi, cioè è tutto quanto una fallimentare classe dirigente ha fatto trasformando la politica per gli infermieri in una terrificante rappresentazione dell’assurdo.” (fonte www.quotidianosanita.it)
Le parole hanno un peso e quando a pronunciarle è Ivan Cavicchi diventa impossibile non ascoltarle anche se fanno terribilmente male e sono maledettamente vere.
A molti apparirà ingiusto questo articolo del Prof. Caviccchi, molti penseranno che può minare quel percorso di emancipazione che l’attuale Presidente Mangiacavalli sta facendo per scrollarsi di dosso quel “gattone da 50 chili dalla spalla” ma conoscendo l’onestà intellettuale di Ivan (perdonate la confidenziale citazione) non posso che dare atto: ha ragione!
In questo periodo sono intervenuto spesso in favore delle politiche attuate dall’attuale Presidente, con un atteggiamento di favore per le sue uscite, ho recentemente spronato la Dr.ssa Mangiacavalli a non lasciare la strada intrapresa ma di insistere nel suo tentativo di rilanciare quella che una volta avremo chiamato “concertazione”, una concertazione sul futuro della professione e sulle sue competenze.
Proprio perché è necessario non perdere per strada quanto di buono sta tentando di costruire in un contesto sociale e politico difficile e complesso, l’invito è anche di parlare agli Infermieri con la massima semplicità e onestà dicendo loro poche parole e le prime dovrebbero essere: “Scusate abbiamo commesso degli errori”.
Non possiamo andare avanti se prima non analizziamo in maniera oggettiva quanto è accaduto nel passato, se prima non mettiamo a fuoco gli errori commessi e, senza processi sommari e di piazza, che sarebbero francamente intollerabili dal sottoscritto da sempre legato ad un pensiero garantista, con l’obiettivo di mettere da parte le scelte sbagliate e ripartire.
Non è un caso che Ivan parli di “una classe dirigente fallimentare”, un giudizio pesante verso il quale è assolutamente dirimente poter dare una risposta concreta alla richiesta di chiarezza.
Non possiamo avanzare se ci portiamo appresso questo fardello di incompiutezza atto semplicemente a mantenere posizioni di rendita e non a favorire la distribuzione della ricchezza, in questo caso intellettuale.
Cominciare dall’autocritica per procedere poi a passo spedito e senza tentennamenti verso la destrutturazione del comma 566 verso una nuova visione di Organizzazione dei Servizi Sanitari che rimettano al centro il paziente. (curioso tutti parlano della centralità del paziente salvo vedere al centro della stanza le professioni che discutono su quale pezzo debbano operare).
“L’ingenuità di credere che basti scrivere da qualche parte una norma per cambiare il mondo, cioè la sprovvedutezza di chi pensa che la norma sia in quanto tale autoesplicativa cioè produca nuovi modelli di servizi, nuove organizzazioni del lavoro, nuove relazioni tra professioni quasi per magia ignorando che un modo per barare con il cambiamento è quello di concedere norme senza futuro proprio come il comma 566”, con queste parole Ivan riesce a riassumere quanto sostengo da tempo, le norme non servono per auspicare un cambiamento culturale ma devono essere la sintesi del cambiamento. Dopo vanno sapute governare per poter auspicare che il cambiamento diventi fattivo e non rimanga sulla carta. In breve quello che è accaduto con le norme precedenti che non sono state supportate da una presa di coscienza della nostra classe professione diventando nel contempo bandiera e fardello, con il risultato che da anni gli Infermieri sono bloccati in una terra di mezzo che invece di vederli avanzare verso una liberalità professionale li vede sempre più spesso retrocedere verso un demansionamento delle quali colpe non possono essere caricati gli stessi Infermieri o peggio ancora coloro che con essi collaborano (OSS, tecnici, medici).
Quanto avviene altro non è che la conseguenza di una cultura che chi ha ci ha guidato in questi ultimi anni e ciò che ha trasmesso produce il risultato che è sotto gli occhi di tutti.
Siamo di fronte ad un passaggio storico fondamentale, da un lato le politiche di austerity che stanno riducendo il Fondo Sanitario Nazionale, dall’altro le politiche regionali che stanno virando pericolosamente verso un nuovo assetto del sistema pubblico con il rischio di vedere negato il principio costituzionale dell’universalismo della tutela della salute, in mezzo ci siamo noi, apparentemente fermi ed incapaci di andare oltre che a comunicati d’ordinanza.
Ribadisco l’invito fatto tempo fa: non possiamo più far finta che il mondo sia fermo, Presidente lei ha il dovere morale di cominciare una battaglia durissima che vedrà impegnati gli Infermieri Italiani nella difesa della Sanità Pubblica, ha il dovere di chiedere aiuto a quei Sindacati capaci di sottrarsi alle logiche confederali del compromesso al ribasso, ha il dovere di difendere i 400mila infermieri da un rinnovo contrattuale che appare una presa in giro colossale.
Avrebbe anche il dovere, mi dispiace dirlo, di chiedere un passo indietro alla Senatrice Silvestro, troverei del tutto impropria una difesa della Sanità Pubblica e dei suoi operatori al fianco proprio di una rappresentante di quel Partito che sta imponendo all’Italia una politica di smantellamento del Welfare State così come lo abbiamo conquistato.
E’ tempo di decidere da che parte stare.
Piero Caramello
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