«La paura aveva portato l’umiltà. Oggi in tanti hanno ricominciato a pretendere, a lamentarsi, a correre come se si dovesse recuperare qualcosa. Ma siamo tutti vittime del Coronavirus»
«No, io non sono una sindacalista, non ho mai fatto la sindacalista. Mi sto impegnando come altri per cercare di riunirci tutti, come infermieri, per cercare di ottenere quello che è giusto, il riconoscimento importante per tutti noi».
Laura Mangili è un’infermiera libero professionista 38enne originaria di Bergamo, attualmente impegnata presso gli Spedali Riuniti, nosocomio situato nella zona più colpita dal Covid-19.
Riportiamo di seguito l’intervista che la collega ha rilasciato presso la redazione del sito primacomo.it.
Lei è stata tra i promotori della manifestazione degli infermieri in piazza V.Veneto , lunedì mattina. Come è andata?
«Siamo soddisfatti: era la prima volta in assoluto che gli infermieri scendevano in piazza, non è mai successo. Eravamo circa in centocinquanta, c’è chi è venuto anche con i figli. Un buon numero. E poi è andata come volevamo, in silenzio, senza slogan, senza megafono, senza creare caos».
Che cosa chiedete?
«Vogliamo creare un tavolo di trattativa comune, un coordinamento fra tutte le sigle sindacali e confrontarci con lo Stato per arrivare a un nuovo contratto».
Ma il contratto è stato firmato nel 2018 dopo tredici anni di vuoto.
«Sì, ma la sanità è divisa in due grandi comparti: i medici e tutti gli altri. Noi infermieri facciamo parte di “tutti gli altri”. E non siamo d’accordo».
Che cosa significa?
«Significa che noi infermieri (siamo tutti professionali), gli Oss (Operatori socio sanitari) e Ausiliari (quelli che si occupano della biancheria, del cibo, di sistemare il materiale) siamo trattati allo stesso modo. Poco importa che noi siamo laureati e che dobbiamo occuparci della cura medica del paziente. Ma addirittura siamo equiparati agli elettricisti, agli impiegati amministrativi, agli autisti… anche se facciamo lavori completamente diversi».
Quindi?
«Quindi vogliamo un contratto per gli infermieri».
La vicenda del Covid-19 vi ha aiutato?
«Ci ha aiutato a prendere coscienza della nostra importanza, del nostro lavoro. Siamo diventati eroi, ma noi non siamo eroi, lo abbiamo detto e ripetuto: siamo persone che hanno scelto un certo lavoro, che è di cura verso gli altri. E cerchiamo di farlo bene, anche pagando di persona. Tanti, tantissimi del personale sanitario si sono ammalati, ci sono stati anche diversi morti. Ci siamo resi conto ancora meglio di essere una categoria ben definita, che deve venire riconosciuta».
Ora la grande paura è passata.
«Sì, è passata e, se devo essere sincera, sono delusa. Avevo visto la gente cambiare, diventare umile, attenta a quello che si diceva, alleata dell’infermiere. Ma poi, giorno dopo giorno, ho visto rinascere la presunzione, la superbia. Di nuovo tutti a pretendere. E anche peggio di prima».
Davvero?
«Davvero. Perché adesso tutti hanno fretta, tutti pretendono, come se volessero venire risarciti dai due mesi di ferma, come se dovessero recuperare chissà cosa. Ma io dico che questi mesi li abbiamo persi e non è che li recuperiamo mettendoci a correre. E poi tutti sono di nuovo stressati, continuano a lamentarsi, ancora più di prima».
Fonte: primacomo.it
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