Lo confermano i risultati di recenti studi.
L’Organizzazione mondiale della Sanità definisce così l’anemia: “Una condizione per cui il numero di globuli rossi o la loro capacità di trasportare ossigeno non è sufficiente a soddisfare i bisogni fisiologici, che variano in base all’età, al sesso, all’altitudine, al fumo e allo stato di gravidanza. Si ritiene che la carenza di ferro sia la causa più comune di anemia a livello globale, anche se altre condizioni, come carenza di folati, vitamina B12 e vitamina A, infiammazione cronica, infezioni parassitarie e disturbi ereditari, possono tutti causare anemia. Nella sua forma grave, è associata a stanchezza, debolezza, vertigini e sonnolenza. Le donne incinte e i bambini sono particolarmente vulnerabili”.
Generalmente il volume plasmatico e la massa eritrocitaria si modificano in corso di gravidanza. L’anemia viene definita in base ai seguenti valori di emoglobina:
- Hb < 11.0 g/dl, nel I trimestre;
- Hb < 10.5 g/dl, nel II trimestre;
- Hb < 11.0 g/dl, nel III trimestre.
Lo status gravidico, inoltre, può essere caratterizzato anche da un’intolleranza ai carboidrati, di variabile grado e severità, che configurerebbe un quadro di diabete gestazionale. L’associazione o il rappresentarsi di anemia e diabete gestazionale può aumentare il rischio cardiovascolare.
Da uno studio canadese che ha analizzato un milione di casi risulta che 191 donne ogni mille con diabete hanno sviluppato problematiche cardiache a partire dall’ottavo anno dopo il parto, riportando un maggior rischio di ospedalizzazione per complicanze cardiovascolari, infarto del miocardio e angioplastica coronaria. Un altro studio, israeliano, considera un braccio di 80mila pazienti, dimostrando che l’anemia post-partum ha esposto la donna a ospedalizzazioni successive e patologie correlate all’aterosclerosi e ad altri eventi cardiovascolari.
Michele Calabrese
Fonti:
www.who.int
www.farmaciegravidanza.gov.it
www.gfmer.ch
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