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Decesso in corsia, parla uno dei sanitari aggrediti a Boscotrecase: “Era una caccia al camice bianco”

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Morte in corsia, parla uno dei sanitwriv
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La brutale aggressione subita dagli operatori sanitari del reparto di Medicina d’urgenza dell’ospedale di Boscotrecase, ad opera di decine di parenti di una donna di 55 anni deceduta ieri, è stata descritta accuratamente da una delle vittime della violenza.

“E’ stata follia pura, una vera e propria caccia al camice bianco”, racconta Davide Bergamo, otorinolaringoiatra aggredito ieri dalla furia dei parenti di Anna Verso, la donna deceduta per cause ancora da chiarire.

“Ho udito urla e strepiti e ho raggiunto il reparto di medicina d’urgenza – ha dichiarato il dottor Bergamo – Alcuni energumeni hanno provato ad entrare in una delle stanze dove sono situati alcuni importanti macchinari. Ho solo provato a calmarli, ma sono stato colpito da tre pugni alla testa”.

Fare ritorno all’ospedale di Boscotrecase non è stato per nulla semplice, per i medici e gli infermieri malmenati. I segni dei minuti di follia sono ancora presenti nei corridoi.

“In 39 anni è la prima volta che vengo aggredito, malgrado l’esperienza avuta in pronto soccorso. E’ stata follia pura. Chi fa questo mestiere abbraccia le difficoltà e le paure dei pazienti e dei familiari, ma non la stupidità degli altri”.

Il pensiero del dottor Bergamo volge anche agli altri pazienti ricoverati in reparto.

“Ciò che più interessava a noi era la loro salvaguardia, poiché non c’entravano niente. Stamattina alcuni erano ancora terrorizzati”.

L’intervento provvidenziale di medici e infermieri avrebbe scongiurato il danneggiamento di alcuni macchinari estremamente costosi.

“Come è ben evidente ci sono porte divelte e armadietti danneggiati. Per fortuna non ci sono stati danni più importanti. Per avere alcune di queste attrezzature abbiamo dovuto attendere anni”.

Il medico, ormai a 6 mesi dal pensionamento si lascia poi andare a un ultimo sfogo. “Dopo questo accaduto, dipendesse da me, dovrebbe essere abbattuto l’ospedale con tutta la città. Purtroppo, però, il mio mestiere non mi consente di abbandonare i colleghi, già costretti a operare con un organico ridotto all’osso. Noi riprendiamo a lavorare in maniera ordinaria, ma viviamo uno stato di intimidazione frequente”.

Simone Gussoni

 

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