Nell’immaginario collettivo, dopo attenta esasperazione delle diverse società scientifiche formatrici nel settore della Rianimazione Cardipolmonare (RCP) e nell’utilizzo del DAE, si è certi che il contatto con il paziente durante la scarica da un defibrillatore armato, possa generare dei danni nell’operatore (o chi nelle vicinanze del paziente) che, incautamente, tocchi il paziente durante la scarica elettrica. Ma fa realmente un danno toccarlo durante la famosa scarica?
Certo, la sicurezza sulla scena è la cosa imprescindibile per erogare un sevizio sanitario in regime di sicurezza e di appropriatezza
Uno studio retrospettivo effettuato da Gibbs, Eisemberg dal titolo “Dangers of defibrillation: injuries to emergency personell during patient resuscitation” pubblicato su American Journal of Emergency Medicine cerca di rendere più chiari gli effetti di questo incidente.
Nello studio vengono riportati fedelmente 8 casi di operatori che accidentalmente sono entrati a contatto con il paziente quando era in corso la scarica del defibrillatore.
Sono deceduti? Sono ustionati? Sono stati cardiovertiti? Cosa può mai esserli successo…..
Caso n. 1 (il peggiore), durante la defibrillazione, una piastra che sembrava integra era invece rotta e esponeva, sulla superficie esterna, parte della circuiteria elettrica presente all’interno. Alla scarica del defibrillatore l’operatore riceveva, per intero, la scarica e perdeva conoscenza per un paio di minuti. E’ stato necessario ospedalizzare l’operatore che è stato quindi tenuto sotto osservazione per tre giorni e trattato con lidocaina per delle contrazioni ventricolari premature.
Caso n. 2, il braccio di un sanitario stava toccando una parte metallica della barella autocaricante durante la scarica. L’operatore ha riferito formicolio al braccio per 30 minuti
Caso n. 3, la mano di un operatore era a contatto con il gel durante la defibrillazione. Lieve indolenzimento del braccio
Caso n. 4, un paramedico stava prendendo il polso femorale mentre un altro defibrillava. L’operatore è stato sbalzato dalla scarica ma non ha riportato nessun problema successivo.
Caso n. 5, la gamba di un paramedico stava toccando il paziente. L’operatore ha riferito la sensazione di una lieve scossa alla gamba.
Caso n. 6, il paramedico stava mantenendo la bag mask sul volto del paziente. L’operatore ha riferito la sensazione di una lieve scossa sui polpastrelli.
Caso n. 7, il pollice del paramedico era a contatto con il torace del paziente. L’operatore è stato letargico per diversi minuti riprendendosi poi completamente
Caso n. 8, la gamba di un sanitario stava toccando una parte metallica della barella autocaricante durante la scarica. L’operatore ha riferito di aver sentito una scossa alla gamba
Siamo negli anni novanta, periodo in cui la tecnologia rispetto a quella del XXI secolo sarebbe paleolitica!
Emblematico il caso di un istruttore ALS che aveva posizionato le piastre sulle sue tempie e inavvertitamente armato il defibrillatore, subendo la scarica e riportando ustioni di secondo grado sul volto e una condizione clinica di letargie per un giorno e mezzo.
Un monito: è vero che nessuno ha avuto danni permanenti o fatali a seguito della scarica, ma la sicurezza dell’operatore, per quanto con questo documento si voglia tranquillizzare chi giornalmente o occasionalmente utilizza un defibrillatore, rimane al primo posto!
La Lloyd, Heeke, Walter e Langberg in uno studio dal titolo “Hand-on defibrillation: an analysis of electrical currency flow through rescuers in direct contact with patients during bifasic external defibrillation” pubblicato nel 2008 su Circulation ha invitato dei pazienti affetti da fibrillazione atriale candidati alla cardioversione di farsi da cavie per saggiare l’effettiva potenza della scarica sul miocardio. Il defibrillatore usato era un Lifepac 12.
Sono stati erogati:
- 4 shock da 100 Joule,
- 27 da 200 Joule
- 8 da 360 Joule.
Nessuna scarica è stata percepita dall’operatore!
Sono state misurate le correnti con un oscilloscopio con lo scopo di verificare quanta corrente attraversasse il corpo dei volontari all’esperimento e si e appurato che tutte le scariche erano, non solo sotto la soglia di percezione e che addirittura gli operatori sono stati sottoposti a correnti più basse di quelle che si possono prendere toccando le manopole o i contatti elettrici di un computer, radio, televisioni.
Le conclusioni dell’articolo sono che, data l’enfasi fatta, nelle ultime linee guida alla qualità delle RCP e alla loro non interruzione, visti i bassi livelli di esposizione alle correnti erogate durante la scarica, si potrebbe pensare all’eliminazione dei tempi “morti” di RCP durante la carica e la scarica del DAE.
Uno studio successivo di Neumann et al, pubblicato nel 2012 dal Journal of the American Heart Association, dal titolo “Hands-on defibrillation has the potential to improve the quality of cardiopulmonary resuscitation and is safe for rescuers? A preclinical study” ha suggerito a conclusione dei lavori di avere una “checklist” per l’uso di un approccio di RCP ininterrotte anche durante la scarica del DAE.
E’ possibile, conclusione dello studio di Neumann et al, pensare ad un approccio hands-on al paziente in arresto cardiorespiratorio:
- Se stai indossando guanti in polietilene,
- se il defibrillatore è bifasico
- se le placche del defibrillatore sono auto-adesive e la parte esterna è ricoperta di materiale non conduttivo
- se gli elettrodi fanno un buon contatto con la pelle del paziente
- se non ci sono elementi aggiuntivi di pericolo (fluidi corporei, pioggia, superfici conduttive)
CALABRESE Michele
Sitografia e Bibliografia:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed
https://jaha.ahajournals.org (Journal American Heart Association)
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