Gli stranieri arrivavano per beneficiare di prestazioni a spese del Sistema sanitario regionale, con danno per le tasche dei contribuenti stimato in 440mila euro. Talvolta i motivi sanitari erano un mero pretesto per favorire l’ingresso illegale in Italia di persone che in realtà scoppiavano di salute.
Gli investigatori della Squadra mobile di Bergamo e i carabinieri del Nas di Milano hanno scoperto un giro di corruzione di medici e infermieri allo scopo di far ottenere a immigrati albanesi certificati e permessi per accedere a costose cure mediche a carico del Sistema sanitario lombardo, senza averne alcun titolo.
Figura fondamentale, emersa nell’inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia, era quella di Davide Luigi Vergani, funzionario dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco, in grado di procurare all’organizzazione, secondo le accuse, le tessere sanitarie per accedere alle cure e ai farmaci, in cambio di soldi contanti, di un biglietto per assistere a Milan-Verona e, in un caso, di una prestazione sessuale.
Vergani è finto agli arresti domiciliari, come anche due donne albanesi, Stela Papa e Vjollca Purashai. Il gip Sara Cipolla, invece, ha disposto il carcere per Domenico Paternò e Domenico Carriero, indagati in qualità di medici dell’ospedale di Cernusco sul Naviglio con l’accusa di aver rilasciato certificazioni e prescrizioni a beneficio degli stranieri, e per gli albanesi Ndue Pulaj, Gentian Iljazi, Evisa Sulejmani e Aleksandr Gjoka. Disposto, inoltre, l’obbligo di firma per un farmacista.
Le accuse parlando di corruzione, associazione a delinquere, traffico di farmaci e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Secondo quanto riferito, attraverso una diffusa penetrazione nel sistema sanitario lombardo, l’organizzazione era in grado di ottenere il rilascio, da parte di medici corrotti, di false certificazioni che attestavano la necessità per numerosi cittadini albanesi di cure sanitarie urgenti in Italia, consentendo così l’ingresso degli immigrati, anche durante le fasi del lockdown, quando le esigenze mediche rappresentavano una possibilità di deroga ai limiti di spostamento.
In sostanza, gli immigrati arrivavano per beneficiare di cure a spese del Sistema sanitario regionale, con danno alle tasche dei contribuenti stimato in 440mila euro. A costoro era assicurato il pacchetto completo (tessera sanitaria, prescrizione, appuntamento con corsia privilegiata per saltare la coda), con visite accertate al San Raffaele o all’Humanitas. Oppure i motivi sanitari erano un mero pretesto per favorire l’ingresso illegale in Italia di uomini e donne che in realtà scoppiavano di salute.
L’organizzazione, inoltre, era in grado di ottenere il rilascio di tessere sanitarie intestate a soggetti stranieri, che non avrebbero avuto diritto alle stesse: elemento indispensabile per usufruire delle prestazioni sanitarie e ottenere i farmaci in regime di esenzione. Medicinali come il Clexane o l’Enoxaparina, ad esempio, un anticoagulante utilizzato nel trattamento medico dei pazienti Covid, che era di difficile reperimento nei periodi più difficili della pandemia.
L’uomo delle tessere sanitarie era Vergani, immortalato nel suo ufficio mentre prende dalle mani di Iljazi una mazzetta di contanti che infila nella tasca sinistra dei pantaloni. In un caso Vergani agisce “in proprio”, iscrivendo al Sistema sanitario alcuni romeni. Gli inquirenti hanno accertato 80 iscrizioni irregolari di questa tipologia. Ma la rete degli albanesi poteva contare anche su infermieri, impiegati ospedalieri del Centro unico prenotazioni e una funzionaria dell’Agenzia delle Entrate, alla quale era chiesto con urgenza di generare un codice fiscale per una persona malata terminale. Una delle tante con problemi di salute che Iljazi conosceva, perché lui, come amava molto dire di sé, era “come Madre Teresa”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Corriere della Sera
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