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Coronavirus, si prova a mettere in cantiere un vaccino.

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Coronavirus, si prova a mettere in cantiere un vaccino.
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Sono già all’opera cinque aziende, una delle quali è italiana.

Si comincia a lavorare sul vaccino contro il coronavirus 2019-nCoV e, nell’era delle mappe genetiche e di internet, questo sforzo è possibile anche senza che il virus debba uscire dalla Cina. Proprio dal Paese asiatico, infatti, è arrivato il primo annuncio, seguito da quello degli Stati Uniti, e sono almeno cinque le aziende che nel mondo occidentale stanno lavorando in questa direzione. Una di esse si trova in Italia.

Lo Shanghai East Hospital dell’Università Tongji si è detto pronto a sviluppare un vaccino in collaborazione con l’azienda Stermirna Therapeutics. Poi è stata la volta di una delle maggiori autorità internazionali nel campo dei vaccini, Anthony Fauci, direttore dell’Istituto americano per le malattie infettive (Niaid) dei National Institutes for Health (Nih). “Abbiamo già cominciato, insieme con diversi nostri collaboratori – ha aggiunto Fauci –. Si tratta di un processo lungo e che presenta incertezze, ma stiamo procedendo come se si dovesse produrre un vaccino. In altre parole, stiamo considerando lo scenario peggiore, ovvero che si verifichi un’ulteriore diffusione”.

In ogni caso sarà un vaccino costruito al computer e basato sull’informazione genetica. “Non potrà essere quello classico basato sul virus inattivato: dovrà essere un vaccino di tipo genetico, basato sull’informazione contenuta nel materiale genetico del virus”, ha detto all’Ansa Luigi Aurisicchio, amministratore delegato dell’azienda di biotecnologie Takis, di Roma, che sta lavorando al vaccino contro il nuovo coronavirus. Non è infatti più necessario, come un tempo, avere fisicamente a disposizione il virus: basta conoscerne il materiale genetico. Quest’ultimo è liberamente accessibile online e a tutti i ricercatori del mondo, perché è stato depositato nelle banche dati GeneBank e Gisaid.

La tecnologia messa a punto dall’azienda italiana consiste nel prendere un frammento del genoma del virus e nel clonarlo nei filamenti circolari di Dna presenti nei batteri. Il pacchetto così ottenuto viene iniettato nel muscolo, e poi una breve scossa elettrica fa entrate il vaccino all’interno della cellula, nell’area diversa dal nucleo, chiamata citoplasma. Le cellule producono così una sostanza che può essere riconosciuta dal sistema immunitario (chiamata antigene), che la portano sulla loro superficie. La tecnica di somministrazione, chiamata elettroporazione, viene utilizzata attualmente per alcune forme di chemioterapia e in passato era prevista anche per il vaccino contro un altro coronavirus, quello responsabile della Mers (Middle East Respiratory Syndrome) del 2015.

Redazione Nurse Times

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