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Coronavirus, seconda dose per il vaccino Johnson & Johnson? La parola all’esperto

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Coronavirus, seconda dose per il vaccino Johnson & Johnson? La parola all'esperto
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Le precisazioni sul tema vaccini di Armando Genazzani, membro del Committee for Medicinal Products for Human Use (Chmp) dell’Ema.

Non solo l’annuncio del ritardo del lancio in Europa. Ora anche la notizia che il vaccino Johnson & Johnson, al pari di quelli priodotti da AstraZeneca, Pfizer e Moderna, potrebbe necessitare di una seconda dose per essere efficace. Insomma, non più monodose, come annunciato in un primo momento.

A spiegare perché è Armando Genazzani (foto), membro del Committee for Medicinal Products for Human Use (Chmp) dell’Ema, intervenuto a Buongiorno, su Sky Tg24: “Non metterei troppo accento sul fatto che J&J sia un vaccino monodose. Al momento il vaccino anti-Covid di Janssen è stato studiato come vaccino di cui si dà una singola dose e sappiamo che dà una protezione 14 giorni dopo la somministrazione. Tuttavia non sappiamo quanto duri. Potrebbe benissimo essere che serva un richiamo in seguito: ci sono degli studi che lo stanno valutando. Intanto possiamo cominciare a vaccinare”.

Mix di vaccini?“Personalmente – prossegue Genazzani – consiglierei di aspettare i dati, prima di farlo. Ci sono alcuni Paesi, come la Germania, che stanno studiando di poter usare un vaccino ad adenovirus come prima dose e un vaccino a mRna come seconda dose. Vi è una plausibilità biologica che il richiamo possa funzionare, ma non abbiamo dati”.

Richiami prolungati per Pfizer e Moderna?“In Ema e Aifa riteniamo che gli intervalli studiati negli studi clinici fra la prima e la seconda dose dei vaccini a mRna, pari a 21 e 28 giorni, siano quelli ottimali, perché su quelli abbiamo dei dati”, spiega ancora il farmacologo in merito all’ipotesi di ritardare il richiamo per i vaccini di Pfizer/BioNTech e di Moderna. “Negli studi clinici non sempre è possibile fare il richiamo il giorno esatto e ci sono pazienti che sono stati trattati un po’ più a lungo o meno – aggiunge –. Ci sono anche pazienti che sono stati trattati a 42 giorni. Dal punto di vista scientifico non penso che arrivare a 42 giorni tra due dosaggi debba diventare la norma, ma credo che sia possibile. Oltretutto, da un punto di vista di plausibilità biologica, l’allungamento della dose potrebbe portare addirittura a un aumento della risposta anticorpale. Non deve diventare la norma, ma in un momento difficile, in cui non sappiamo quando arriveranno le dosi, possiamo cominciare. Poi, se arrivano, le daremo nel tempo giusto”.

Quando l’immunità di gregge?“Può essere che tra giugno e settembre raggiungeremo l’immunità di gregge in Italia – afferma Genazzani –. A patto che AstraZeneca, Pfizer, Moderna e J&J riusciranno a mantenere le quote e le dosi che sostengono di poter produrre. Credo che il piano del premier Draghi possa essere un successo. Inclusa la bella stagione che sta arrivando”.

Richiamo ad hoc per le varianti?“Le varianti di Sars-CoV-2 – spiega il farmacologo – sono sicuramente un pericolo. Può essere che vi saranno delle varianti che riusciranno a scavalcare i vaccini e potremmo avere un richiamo con un vaccino diverso. Può essere che i vaccini perdano un po’ di efficacia con le varianti e che sia necessario fare richiami con vaccini ad hoc che coprano anche le varianti”. Genazzani fa riferimento a uno studio di Israele secondo cui il vaccino di Pfizer risulterebbe meno efficace contro la variante sudafricana: “Fare uno studio con 400 pazienti è molto poco per dire quanto è la protezione vaccinale su una variante. Non baserei nessuna scelta su uno studio di 400 pazienti. In generale, più in fretta vacciniamo e meno le varianti riusciranno a emergere, e quindi a circolare”.

Nuovi vaccini, cosa farà la differenza? – “Al momento abbiamo tre vaccini anti-Covid in rolling review: Sputnik CureVac e Novavax. E tutti e tre ci auguriamo arrivino quanto prima. Finché non sono stati sottomessi tutti i dati non possiamo fare previsioni su quando potremo avere un’opinione. C’è da dire che non sarà il numero di vaccini, ma il numero di dosi, che farà la differenza. E’ più plausibile che i quattro vaccini che abbiamo riescano ad aumentare la loro produzione nei prossimi due mesi. Immagino che la principale campagna vaccinale avverrà con questi quattro vaccini. Ciò premesso, più vaccini abbiamo, meglio è. Ci sarà più concorrenza e potremo addirittura fare scelte sui vaccini che preferiamo, ma al momento farei affidamento su questi quattro”.

Il punto sui monoclonali – Sul fronte dei farmaci per la terapia di Covid-19, Genazzani precisa: “Qui siamo un po’ più indietro rispetto ai vaccini. Abbiamo almeno un paio di farmaci che possono migliorare la prognosi dei pazienti in ospedale: il remdesivir e i corticosteroidi. Cominciamo ad avere delle combinazioni di anticorpi che nei pazienti ad altissimo rischio che hanno contratto il Covid potrebbero essere utili per ridurre l’impatto in ospedale. C’è ancora qualche problema organizzativo, perché sono farmaci che devono essere dati endovena, e perché, finché non riusciamo a predire quali pazienti possono progredire, dovremmo darli a troppe persone”.

Redazione Nurse Times

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