A questa conclusione è giuno un studio condotto da ricercatori dell’Università di Edimburgo.
Uno studio pubblicato sul British Journal of Dermatology da un team dell’Università di Edimburgo ha evidenziato un rapporto inversamente proporzionale fra l’esposizione ai raggi solari, soprattutto quelli Uva (che rappresentano il 95% della luce solare ultravioletta), e il tasso di mortalità dovuto a coronavirus. I ricarcatori hanno analizzato tutti i decessi da Covid-19 registrati negli Stati Uniti da gennaio ad aprile 2020, mettendoli a confronto con i livelli di raggi Uva in quasi 2.500 contee. tenendo conto dei diversi fattori di rischio (età, etnia, condizioni socio-economiche, inquinamento, densità della popolazione, ecc.).
È emerso che chi vive in aree con maggiore esposizione ai raggi Uva mostravano anche un rischio inferiore di decesso per coronavirus rispetto ai soggetti meno esposti. “I raggi Uva possono avere un effetto diretto sulla vitalità del virus SARS-CoV-2 nelle goccioline trasportate dall’aria, riducendo così sia i tassi di infezione che la quantità di virus inspirati in caso di infezione, con una corrispondente riduzione della gravità della malattia”, hanno scritto il primo autore Mark Cherrie e i suoi colleghi dell’Università di Edimburgo.
La riduzione del rischio non può essere legata ai livelli di vitamina D. Proprio per evitare eventuali confondimenti, nello studio sono state incluse solo aree con radiazioni Uvb insufficienti perché l’organismo umano sintetizzi una quantità significativa vitamina D. I ricercatori ipotizzano che il ruolo principale sia svolto dall’ossido nitrico, sostanza rilasciata dalla pelle a seguito dell’esposizione alla luce solare. L’ossido nitrico ostacolerebbe la capacità replicativa del virus.
Inoltre l’acido nitrico avrebbe un effetto positivo anche sulla pressione sanguigna, tanto che diversi studi hanno segnalato in precedenza una salute cardiovascolare maggiore nei soggetti più esposti alla luce solare. Dal momento che uno dei fattori di rischio in caso di Covid-19 è la presenza pregressa di patologie cardiovascolari, anche questo aspetto potrebbe giocare un ruolo determinante.
“L’ossido nitrico può anche avere un effetto specifico sulla Covid-19, dal momento che inibisce la replicazione dei virus SARS-CoV e SARS-CoV-2 – hanno spiegato gli autori -. Con il primo virus tramite la S-nitrosilazione della proteina spike, prevenendo così la reazione necessaria perché possa fondersi con il recettore dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2). La proteina spike del virus SARS CoV è altamente omologa a quella di SARS CoV2, suggerendo che l’ossido nitrico possa limitare in modo simile il legame dell’attuale virus con il recettore ACE2, riducendo la trasmissione e la gravità della malattia”.
La ricerca offre anche una possibile spiegazione per la mortalità più alta registrata fra soggetti neri o asiatici. La pelle più scura, infatti, ridurrebbe l’effetto dei raggi Uva, diminuendo il rilascio di ossido nitrico e dei suoi effetti benefici. “Trattandosi di uno studio osservazionale, qualsiasi interpretazione causa-effetto deve essere fornita con cautela – hanno precisato i ricercatori -. Tuttavia, se la relazione identificata si rivela causale, suggerisce che l’ottimizzazione dell’esposizione al sole potrebbe rappresentare un possibile intervento di salute pubblica. Dato che l’effetto appare indipendente dai livelli di vitamina D, suggerisce possibili nuove terapie per la malattia e l’importanza di esplorare il ruolo dell’ossido nitrico circolante”.
Redazione Nurse Times
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