Riceviamo e volentieri pubblichiamo la testimonianza della collega Noemi Bonfiglio.
“Signora, facciamo una videochiamata con sua figlia? Vediamo se risponde“. Squilla il telefono ed ecco l’immagine di una figlia con occhi lucidi che finalmente, dopo giorni di ricovero, rivede la sua mamma in un letto di ospedale, accerchiata da operatori sanitari completamente bardati, fino a non poterne scorgere neanche il viso. Un monitor che suona di continuo, un casco in testa che non permette di parlare, un respiro difficile e affannoso, la stanchezza dovuta alla malattia…
Dall’altro lato si odono parole dolci e tristi, leggere e pesanti allo stesso tempo: “Sei sempre stata una guerriera, mamma. Non mollare mai, siamo tutti con te”. E io lì accanto, dietro la mia mascherina a provare brividi e lacrime di unica emozione. Non saprei neanche dire di che emozione si tratti, so solo che non la dimenticherò mai. Probabilmente questa è stata l’ultima volta in cui una mamma ha potuto vedere sua figlia e le ha potuto dire “Ti voglio bene”.
Non importa chi venga colpito e a quale età, questo virus molto velocemente separa legami fino a spegnerli, anche definitivamente. Non auguro a nessuno di vedere ciò che sto vedendo in ospedale nelle ultime settimane, ma so che, se solo fosse possibile far provare a tutti quell’emozione provata durante quella videochiamata, sarebbero in molti a dire quel “Ti voglio bene” in più. Sarebbero in molti a essere più comprensivi col prossimo, non solo con noi infermieri (tanto immeritatamente bistrattati in giorni di pace quanto troppo osannati in giorni di guerra), ma con tutti quanti, dall’impiegato delle poste alla vicina rompiscatole. E sono sicura che sarebbero in molti a cominciare a fare la cosa giusta. E non perché glielo impone un decreto. Sembra una sottile differenza, ma vi assicuro che non lo è. #iorestoacasa
Noemi Bonfiglio – Infermiera
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