Riceviamo e volentieri pubblichiamo la nota della collega Alessandra Larocca, che tiene a sottolinera come nessuno sia “sacrificabile”.
Siamo in trincea da settimane, ormai. Siano stremati e al limite delle nostre forze. Quando abbiamo scelto questa professione, lo abbiamo fatto perché motivati dall’ideologia di aiutare gli altri. “To care”, ci hanno sempre ripetuto nelle lezioni universitarie e nelle ore passate in corsia.
Il caring affonda le sue radici su un terreno che si nutre di altruismo, di impegno e di soddisfazione, di ricevere attraverso il dare: secondo Watson, una persona adulta, a un certo punto della sua vita, sceglie di intraprendere la professione infermieristica spinta dalla maturazione interiore di valori umanistici. Eppure, in questi giorni mi chiedo, l’umanità non chiede umanità in cambio? Il dare non implica il ricevere?
Non ho mai visto così tante testate giornalistiche e social media occuparsi con tanta generosità e fervore della nostra professione. Non ho mai visto nessuno sposare la nostra causa con tanto impegno. Eppure non mi sono mai sentita così abbandonata come in questo momento. Siamo soli, in mezzo a tutti voi. Abbiamo paura, come voi. Anche più di voi.
Le nostre case sono le corsie degli ospedali, i reparti di terapia intensiva, dove affrontiamo in prima linea un nemico che, silenziosamente, minaccia il mondo intero. In questa trincea rischiamo di ammalarci. Non abbiamo i presidi che ci permettano di tutelare la nostra salute e, di riflesso, quella dei nostri cari. Li cerchiamo disperatamente, ma per noi la ruota non si ferma. La nostra vita non può essere messa in pausa. La nostra salvaguardia viene dopo quella degli altri. L’azienda esegue i tamponi solo dopo aver eseguito quelli indispensabili, se ne rimane il tempo, ovviamente.
Mettiamo la nostra vita a rischio per salvarne altre e ci prodighiamo per aiutare e assistere quanti soffrono nell’ era del Covid, dove il contagio è dietro l’angolo. Non è forse la nostra vita di pari valore a quella degli altri? Nonostante tutto, vi teniamo la mano e infondiamo coraggio. Affrontiamo stanchezza e frustrazione, ma non lasciamo che la paura prenda il sopravvento.
No, non siamo in missione, come molti di voi direbbero. La nostra professione non è una vocazione. Siamo coinvolti in un lavoro emozionale, ma si è ancora un po’ analfabeti rispetto al linguaggio delle emozioni. Restiamo al vostro fianco perché, con professionalità e dedizione, abbiamo le competenze per farlo e scegliamo, oggi più che mai, di non incrociare le braccia.
Noi infermieri scegliamo di restarvi accanto. Al Governo chiediamo di aiutarci a combattere questa guerra. Depauperare una forza professionale in questo momento al limite delle umane possibilità è un rischio che non vi potete permettere.
Alessandra Larocca
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