Lo sostengono due ricercatrici del Centro nazionale per la salute globale dell’Istituto Superiore di Sanità.
Adeguati livelli di vitamina D al momento dell’infezione con Sars-CoV-2 potrebbero favorire l’azione protettiva dell’interferone di tipo I – uno dei più potenti mediatori della risposta antivirale dell’organismo – e rafforzare l’immunità antivirale innata. E’ questa l’ipotesi proposta da Maria Cristina Gauzzi e Laura Fantuzzi, del Centro nazionale per la salute globale dell’Iss, nella lettera pubblicata questo mese sull’American Journal of Physiology – Endocrinology and Metabolism, nell’ambito della corrispondenza scientifica iniziata ad aprile sulla stessa rivista da Hrvoje Jakovac, dell’Università di Rijeka (Croazia), con una lettera intitolata “Covid-19 and vitamin D – Is there a link and an opportunity for intervention?” (“Covid-19 e vitamina D – Esiste un legame ed una opportunità di intervento?”).
“La nostra ipotesi – spiega Maria Cristina Gauzzi – si basa su dati della letteratura che dimostrano come la vitamina D, oltre ad avere un effetto antivirale diretto nei confronti di alcuni virus, possa cooperare con l’interferone di tipo I per potenziare le risposte antivirali”.
Questo fenomeno – si osserva nella lettera – è stato descritto nell’infezione con il virus dell’epatite C e con rinovirus. Evidenze a supporto di un effetto additivo della vitamina D e dell’interferone di tipo I nell’induzione di geni ad attività antivirale provengono anche da studi condotti in pazienti affetti da sclerosi multipla.
“Nelle fasi più avanzate del Covid-19 – concludono le due ricercatrici – l’attività immunomodulatoria della vitamina D potrebbe invece contribuire a ridurre il danno legato all’iperinfiammazione nei pazienti con forme severe di malattia. L’interazione tra vitamina D e interferone di tipo I è ancora poco studiata ma potrebbe rivelarsi di grande importanza, anche in considerazione del fatto che dati recenti della letteratura indicano che le complicanze dell’infezione da SARS-CoV-2 possono essere conseguenti a una produzione insufficiente o ritardata di interferone nella primissima fase dell’infezione”.
Redazione Nurse Times
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