Riceviamo e volentieri pubblichiamo le riflessioni del collega Sebastian Bruscino, che lavora all’AO di Parma e presta assistenza ai pazienti positivi al Covid-19.
Questa è una mia riflessione dopo aver smontato dalla notte. Ancora con l’adrenalina addosso ho pensato di rendervi partecipe di ciò che stiamo vivendo in questi giorni.
Infermieri, medici, oss, operatori sanitari, professionisti della salute, tutti insieme uniti nella stessa battaglia. Il nostro impegno, la nostra abnegazione non ha mai subito cambiamenti. Facciamo fatica a riconoscerci durante il turno. Giriamo con i nomi scritti con il pennarello, stile giocatori, su queste divise che non lasciano scorgere nemmeno il nostro viso. Ci riconosciamo l’uno l’altro soltanto dal modo di fare.
Siamo tutti soldati, tutti con la stessa divisa, con la stessa cuffia e visiera. Su questa divisa non ci sono gradi da mettere in bella mostra: le medaglie più belle non sono quelle che si appendono al collo, ma quelle che si portano nel cuore e che ti riempiono di vita. Avete mai pensato a cosa vuol dire lavorare tante ore con addosso una mascherina, i cui elastici ti piagano il volto e ti segnano il viso? Siamo vestiti come astronauti che devono andare sulla luna, senza poter bere, senza poter andare in bagno, accaldati, sudati e bagnati da una divisa che non ci permette di respirare. Mani che per tutto il turno sono coperte da guanti, che troviamo poi screpolate e doloranti.
Oltre che fisicamente, siamo provati anche mentalmente, vediamo una morte che non ha dignità di essere celebrata, persone che muoiono nel silenzio, nell’indifferenza, lontano dai loro cari e dai loro affetti. Ci sentiamo provati, ci sentiamo pochi rispetto a quello che vorremmo dare.
Soltanto adesso tante persone si sono accorte di noi, considerandoci degli eroi, ringraziandoci ed elogiandoci. Eppure siamo sempre noi, sempre gli stessi, sempre presenti, da sempre i protagonisti in prima linea della sanità italiana.
Fuori dagli ospedali ci sono striscioni di ringraziamento. Nei reparti le pizze e i dolci che ci vengono consegnati dalle persone e dalle attività: gesti che ci gratificano e ci tirano su di morale, rendendoci orgogliosi di quello che facciamo, facendoci sentire anche meno il peso della fatica. Gesti che ci fanno capire che stiamo combattendo una battaglia non da soli. Siamo sempre quelli che fino a qualche giorno fa accoglievano nello stesso modo chiunque e lo sostenevano nel momento di sconforto e del bisogno. Siamo sempre noi, gli stessi che fino qualche giorno fa eravamo aggrediti, vessati e denigrati.
Faccio parte di un sistema che fino a ieri operava in maniera silenziosa, giorno e notte, di un sistema che non sa cosa vuol dire passare un Natale o una Pasqua con i propri cari, un sistema che pur di lavorare ci porta a salutare i nostri cari e le nostre famiglie. Lavoriamo per una paga misera: la nostra professionalità viene da sempre svalutata e svenduta. Tanto lavoro, tanta responsabilità, tanti rischi, e uno stipendio che non rispecchia minimamente quello che facciamo. La nostra professione non è considerata neanche tra quelle usuranti.
Ti ritrovi, pur di lavorare, in una città che non è tua, con amici che non sono i tuoi. Ti ritrovi in un sistema che ti porta a muovere non verso una destinazione, ma verso un destino. Noi non abbiamo chiesto di aiutarci, abbiamo sempre fatto da soli, senza chiedere mai nulla in cambio. Ma adesso abbiamo bisogno del contributo di voi tutti, e del vostro rispetto per gli altri, rispetto per i vostri genitori, figli e nonni. Rimanete a casa e godetevi la vostra famiglia, voi che potete farlo. E fatelo! Noi non siamo eroi oggi e non eravamo fannulloni ieri. #andràtuttobene
Sebastian Bruscino
Segui l’evoluzione dell’epidemia in tempo reale
Lascia un commento