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Coronavirus, dalla Francia seri dubbi sul Remdesivir

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Coronavirus, dalla Francia seri dubbi sul Remdesivir
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Per le autorità sanitarie d’oltralpe il farmaco spesso utilizzato contro il Covid-19 avrebbe modesta efficacia e non merita di essere rimborsato dallo Stato.

Per le autorità francesi l’antivirale Remdesivir, quello usato per curare Silvio Berlusconi al San Raffaele di Milano, avrebbe modesta efficacia in generale e in particolare nei casi più gravi, e dunque non merita di essere rimborsato dallo Stato. Una valutazione quella dell’autority nazionale del farmaco, la Has (Haute Autorité de Santé), che non è piaciuta per niente all’azienda produttrice Gilead, che ha ritirato la domanda di rimborso e di fatto avviato un braccio di ferro con il Paese di Emmanuel Macron. In Italia lo stesso farmaco è finora concesso solo per via compassionevole, quindi a titolo gratuito da parte dell’azienda, e non risultano ancora accordi statali per negoziare il prezzo.

Gilead è una delle più innovative e importanti multinazionali americane del farmaco con importanti linee di produzione soprattutto in oncologia. Nel 2013 ha prodotto Sofosbuvir (nome commerciale: Sovaldi), il primo farmaco anti-epatite C, che ha rivoluzionato la storia della malattia, facendo guarire milioni di pazienti in tutto il mondo e spingendo gli Stati a un serrata negoziaot per ottenere  questa medicina senza compromettere i conti dei servizi sanitari. Sovaldi, nel solo 2014, generò profitti per oltre 14 miliardi di dollari. Allora il prezzo con cui l’azienda aveva negoziato non si basava sul recupero dei costi sostenuti più un certo margine di profitto, ma sul calcolo di quanto gli Stati avrebbero risparmiato per ogni paziente che non avrebbe più avuto bisogno di altre terapie o ricoveri. Ogni Paese ha dunque stipulato accordi in base al proprio Pil, cioè alla capacità di spesa.

Gilead è in condizione di fare qualcosa di simile anche ora con Remdesivir, che però non ha la forza dirompente del Sovaldi, non è un breakthrough, che in ambito farmaceutico significa un medicinale capace di offrire un significativo e rilevante cambiamento clinico nella storia naturale di una patologia.  Basti pensare che il protocollo più usato in corsia contro il Coronavirus si basa sull’economico e “antico” desametasone, un vecchio farmaco antinfiammatorio, che sembrerebbe ridurre di oltre un terzo le morti da Covid-19 in quei pazienti più gravi sottoposti a ventilazione meccanica. Quelli cioè su cui Remdesivir non produrrebbe sostanziali miglioramenti.

Perché una notizia così apparentemente tecnica è interessante anche per l’Italia? Primo motivo: perché contro il coronavirus non ci sono ancora cure specifiche, ma solo protocolli empirici, e il Remdesivir potrebbe essere introdotto tra le cure rimborsate dal servizio sanitario nazionale a prezzi molto, forse troppo, alti. Il secondo motivo è che ogni novità su questo farmaco produce effetti significativi sulle quotazioni in borsa del titolo Gilead, ed è forse è proprio per evitare rischiosi contraccolpi sul mercato che la società ha preferito (per ora) rinunciare alla richiesta di rimborso in Francia.

Ogni trattamento negli Stati Uniti costa 2.340 dollari a malato, prezzo alto ma non proibitivo se si potesse essere certi di una reale efficacia, in grado di far risparmiare ulteriori costi di ospedalizzazione e di cura. Gli Usa ne hanno già fatto incetta, ma per gli altri vale davvero la pena di negoziare sul prezzo?

C’è un tema che riguarda le valutazioni delle agenzie regolatorie del farmaco, che si lega al valore clinico del Remdesivir che all’improvviso, nei mesi più duri della pandemia, da farmaco semi-fallimentare contro l’ebola, ottiene una notorietà mondiale sulla base di una serie di studi promettenti basati però su un numero molto limitato di casi.

Per capire come è nato il mito del Remdesivir bisogna tornare al primo maggio scorso, quando il presidente americano Donald Trump annuncia il via libera della Food and Drug Administration, l’autorità federale sui farmaci, al Remdesivir come riemdio anti-coronavirus. Arriva anche la benedizione di Anthony Fauci, il medico a capo della strategia anti-pandemica per gli Stati Uniti: il Remdesivir “accelera la guarigione dei malati gravi e riduce il tasso di mortalità”. Da questo annuncio prende il via una competizione mondiale per accaparrarsi il farmaco, tanto che la Commissione europea a luglio accetta una procedura super accelerata e rilascia un’autorizzazione condizionata all’immissione in commercio, poi validata dal via libera dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema), seguita infine dall’approvazione da parte dei singoli Stati membri.

L’agenzia francese, nella valutazione pubblicata nei giorni scorsi, hanno rotto un’unanimità quasi planetaria che si reggeva però su molti silenzi riguardo la reale efficacia del farmaco. Secondo la Haute Autorité de Santé “alla luce delle attuali incertezze riguardanti l’efficacia, la sicurezza e le modalità di utilizzo (fase clinica, durata ottimale dell’uso e monitoraggio del paziente) di Veklury (remdesivir), un contesto di strategie terapeutiche in rapida evoluzione, e nella misura in cui la Commissione ha limitato la portata del rimborso di Veklury (remdesivir) rispetto all’autorizzazione all’immissione in commercio, raccomanda che le prescrizioni siano effettuate dopo un parere collegiale”.

L’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) non ha risposto alla una richiesta di approfondimento sul Remdesivir. Resta da capire se seguirà la linea di prudenza della Francia o avvierà una negoziazione sul prezzo con Gilead per un utilizzo su larga scala a spese dello Stato.

Redazione Nurse Times

Fonte: Domani

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