Un 53enne è a processo per la morte di una donna alla quale, nel 2016, avrebbe somministrato farmaci non prescritti dai medici. La testimonianza di una collega sembrerebbe inchiodarlo.
Nell’autunno del 2016 avrebbe somministrato per via endovenosa un mix letale di Valium e Talofen, farmaci di cui non vi era menzione nella cartella clinica (nessun medico li aveva dunque prescritti né aveva incaricato il personale sanitario di somministrarli), a una 66enne ricoverata nel reparto di Lungodegenza dell’ospedale di Cervia (Ravenna). Per questo motivo un infermiere 53enne è a processo per esercizio abusivo della professione medica e omicidio colposo.
Testimone dell’accaduto, una sua collega, all’epoca 27enne e al primo incarico in un ospedale. C’era lei di turno nel settore in cui era ricoverata la vittima, “paziente obesa e diabetica, ma lucida e in attesa di essere dimessa di lì a poco” E a lei l’imputato, il giorno dopo la morte della donna, avvenuta il 26 settembre, avrebbe inviato un sms che si presta a facili interpretazioni: “Mi raccomando, uniti sempre”. La presenza della combinazione di farmaci fu poi confermata dall’autopsia.
Due giorni fa proprio la ragazza, che la notte del decesso avvisò il medico di guardia e poi riferì ogni cosa anche alla coordinatrice infermieristica, è stata chiamata a deporre, riferendo che quella sera la degente non riusciva a dormire: «Allora le somministrai una compressa di Halcion (un farmaco per trattare l’insonnia, ndr), previsto dalla cartella clinica, ma continuava a non prendere sonno». In quel frangente il collega sarebbe entrato nella camera, dicendo alla paziente: «Vuoi dormire? Se vuoi, ti aiuto io». Quindi sarebbe andato in guardiola a preparare la siringa. «Mi opposi – ha ricordato la testimone –, gli dissi di aspettare, lo seguii, lo vidi aspirare la fialetta di Valium e tornare nella stanza, praticando l’iniezione in bolo, nel catetere della paziente. Ero preoccupata, ma la sua sicurezza mi tranquillizzò».
Erano ormai passate le 22:30 quando in reparto si accorsero del decesso. «Lo vidi rientrare in stanza e andai anch’io, sorprendendolo a tentare di sentirle il polso carotideo». Per la signora, tuttavia, non c’era più nulla da fare: «Era pallida, con la bocca semiaperta e i parametri vitali irrilevabili». L’unica cosa da fare era chiamare il medico di turno, che constatò subito il decesso, mentre ancora l’infermiere «stava praticando un blando massaggio cardiaco».
Eppure, a detta della coordinatrice infermieristica dell’epoca, il 53enne sarebbe stato «un perfetto infermiere, preparatissimo, attento ai bisogni dei pazienti». La stessa dirigente, però, lo aveva definito «un po’ caotico», ricordando ritardi di oltre tre ore perché «si era addormentato e non rispondeva al telefono». Le domande degli avvocati delle parti civili (famigliari della vittima e Ausl Romagna) hanno inoltre fatto emergere alcune voci sulle presunte trasgressioni dell’infermiere: «Si diceva che l’avessero visto in condizioni alterate durante il turno. Lo descrivevano come uno che sbolognava le proprie incombenze». E poi la più sospetta tra le circostanze notate dai colleghi e menzionata ieri in aula: «Quando lui faceva la notte, i pazienti la mattina erano tutti più tranquilli».
Redazione Nurse Times
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