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Cavalieri e precarie: il paradosso di Arianna e Alessia

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Cavalieri e precarie: il paradosso di Alessia e Arianna
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Hanno isolato il ceppo italiano del virus e sono state “premiate” da Mattarella, ma le due ricercatrici sono ancora “a scadenza”.

Lo scorso 3 giugno il presidente Sergio Mattarella le ha nominate Cavalieri del lavoro per aver isolato, in piena pandemia Covid, il ceppo italiano del virus. Eppure, mentre a Roma i loro colleghi precari vengono assunti a tempo indeterminato dallo Spallanzani, le milanesi Alessia Lai (a destra nella foto) e Arianna Gabrieli (a sinistra) continuano a essere “a scadenza”.

«Beati loro», commenta Gabrieli, 37 anni, originaria della provincia di Lecce, precaria dal 2010, dopo aver conseguito un dottorato di ricerca che l’ha portata a lavorare insieme ad Alessia Lai, al collega polacco Maciej Tarkowski – anche lui ricercatore a tempo determinato – nel laboratorio della clinica di malattie infettive dell’ospedale Sacco e dell’Università Statale di Milano, sotto la guida del professor Massimo Galli e il coordinamento dei professori Claudia Balotta e Gianguglielmo Zehender.

Durante i mesi più duri dell’epidemia, Lai e Gabrieli hanno lavorato «anche 15 ore al giorno», ma oggi, dopo i riconoscimenti arrivati da più parti, fanno i conti con la realtà. «Speravamo moltissimo in un contratto a tempo indeterminato, visti i risultati raggiunti e l’attenzione nei nostri confronti, ma purtroppo non è ancora arrivato», spiega ancora Gabrieli. E la collega Lai, 40 anni, una vita dedicata alla ricerca, rincara la dose: «La reputazione dei ricercatori italiani è più riconosciuta all’estero che da noi, dove c’è sempre stata poca attenzione verso la categoria da parte dei vari governi, che hanno sempre tagliato su università e ricerca. Ma se tagli i fondi alla ricerca, allora tagli anche i nostri stipendi».

Oggi Lai e Gabrieli si sono dovute accontentare delle briciole lasciate dal mondo italiano. Per la ricercatrice leccese del Sacco, che dallo scorso settembre ha aperto la partita Iva, c’è in programma un concorso interno da dirigente biologo: «È di un contratto a tempo determinato della durata di otto mesi. Non è molto, ma almeno ho uno stipendio e i contributi pagati». Alla collega Lai, di Parabiago, in provincia di Milano, il futuro riserva invece un contratto di altri tre anni in università, dopo aver vinto un bando nelle scorse settimane. Si è laureata nel 2005 e da allora non ha mai smesso di fare ricerca: «Ho sempre voluto fare la carriera universitaria, pur nella consapevolezza che non sarebbe stato semplice. Vorrei lavorare come professoressa in università. Ho già l’abilitazione da un anno e mezzo, ma di assunzioni non se ne vedono».

La domanda sorge spontanea: si sono pentite della loro scelta? Risposta di entrambe: «No. Se tornassimo indietro, rifaremmo tutto daccapo». Comune anche il desiderio: «Che la considerazione data ai ricercatori in questi mesi non si volatilizzi dopo il Covid-19, ma si trasformi in più fondi e più contratti a tempo indeterminato».

Redazione Nurse Times

Fonte: La Stampa

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