La Corte di Cassazione ha confermato quanto stabilito dalla Corte d’appello di Roma, che a sua volta aveva sancito la legittimità del licenziamento per giustificato motivo di un operatore socio-sanitario (oss), dipendente di una casa di cura, accogliendo il reclamo principale della struttura sanitaria, respingendo quello incidentale del lavoratore e ribaltando la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto il licenziamento come ritorsivo.
Il licenziamento dell’oss, avvenuto il 16 luglio 2018, è stato motivato da ripetute violazioni delle norme interne della struttura. Il lavoratore aveva infatti ignorato le disposizioni che vietano al personale a diretto contatto con i pazienti di indossare gioielli e altri accessori che potrebbero essere veicoli di contagio per persone fragili e immunodeficienti. Questi comportamenti sono stati considerati atti di insubordinazione e gravi negligenze, potenzialmente dannose per la salute dei pazienti e per l’immagine della casa di cura.
Sebbene il lavoratore avesse sostenuto che il licenziamento fosse legato alla sua attività sindacale interna, la Corte d’appello ha stabilito che i comportamenti contestati erano sufficienti a giustificare il licenziamento, rendendo irrilevante l’eventuale intento ritorsivo.
Contro tale decisione l’oss ha presentato ricorso in Cassazione, argomentando la violazione di diversi articoli di legge e lamentando l’esclusione di elementi probatori che avrebbero dimostrato la natura discriminatoria del licenziamento. Tuttavia la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato, confermando la legittimità del licenziamento.
La Cassazione ha ribadito i principi in materia di onere probatorio nel diritto antidiscriminatorio. Secondo l’art. 40 del d.lgs. 198/2006, non vi è un’inversione dell’onere probatorio, ma un’attenuazione del regime probatorio ordinario in favore del lavoratore, che deve fornire al giudice elementi di fatto idonei a fondare una presunzione di discriminazione.
Il ricorrente ha inoltre sostenuto che il licenziamento dell’oss fosse ritorsivo, ma la Cassazione ha ribadito che la nullità di un licenziamento ritorsivo richiede la prova che l’intento di vendetta sia stata l’unica ragione determinante per il licenziamento. In questo caso la Corte d’appello aveva correttamente rilevato la presenza di giustificati motivi di licenziamento basati su reiterate infrazioni disciplinari.
La Cassazione ha dunque respinto ricorso e condannato l’oss al pagamento delle spese legali, ribadendo che il giudizio di merito della Corte d’appello era congruamente argomentato e giuridicamente corretto. Questa sentenza conferma l’importanza del rispetto delle normative interne delle strutture sanitarie e rafforza il principio che il licenziamento disciplinare deve essere basato su motivi concreti, e non su intenti discriminatori o ritorsivi.
Redazione Nurse Times
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