Importante ricerca condotta dagli Atenei di Catania e Parma, insieme all’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma.
Può, la luce, quando combinata con opportune nanotecnologie, aiutare gli oncologi a diagnosticare i tumori e assegnare trattamenti mirati ai pazienti? Può tutto questo essere messo in atto utilizzando solo il sangue dei pazienti e in volume tale da poter applicare la procedura diagnostica molto frequentemente e anche su pazienti particolarmente fragili?
Un recente articolo dal titolo Direct plasmonic detection of circulating RAS mutated DNA in colorectal cancer patients, pubblicato dalla rivista Biosensors and Bioelectronics della Elsevier, la più autorevole rivista scientifica internazionale nel settore della chimica analitica e tra le più autorevoli nel settore delle biotecnologie (Impact Factor: 10,257), apre nuove e inattese prospettive.
L’articolo nasce dalla collaborazione tra il gruppo di ricerca coordinato dal professor Giuseppe Spoto, del Dipartimento di Chimica dell’Università di Catania, quello coordinato dal dottor Patrizio Giacomini, dell’Unità di Oncogenomica ed epigenetica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, e il gruppo del professor Roberto Corradini, del Dipartimento di Scienze chimiche, della vita e della sostenibilità ambientale dell’Università di Parma. La collaborazione si è sviluppata nell’ambito del progetto europeo ULTRAPLACAD, finanziato dalla Commissione Europea all’interno del programma quadro Horizon 2020.
La possibilità di effettuare una diagnosi oncologica utilizzando solo il sangue prelevato dal paziente, e non più i frammenti di tessuti prelevati dalla massa tumorale, spesso a costo di invasive procedure chirurgiche, ha rappresentato uno dei più significativi avanzamenti dell’oncologia degli ultimi 15 anni.
La nuova procedura prende il nome di biopsia liquida. Il sangue trasporta tracce molecolari del tumore che vanno identificate, sia per poter scoprire il tumore, sia per assegnare al paziente il trattamento farmacologico più efficace. Inoltre il tumore si modifica nel corso del tempo, e per questo motivo è utile seguirlo longitudinalmente, nel corso di tutto il decorso di malattia, così da poter assegnare (tramite il sangue, appunto) al paziente il miglior trattamento farmacologico possibile in quel preciso momento.
Il paziente oncologico necessita quindi di un frequente monitoraggio, che solo con la biopsia liquida può veramente attuarsi, perché solo col sangue si può avere un aggiornamento continuo delle caratteristiche molecolari del tumore. Le tecnologie attualmente utilizzate per l’analisi molecolare di biopsie liquide da pazienti portatori di tumore sono basate sull’applicazione di protocolli di trattamento dei campioni che necessitano di alcuni millilitri del sangue del paziente. Le procedure richiedono anche lunghi tempi di analisi.
Il nuovo metodo presentato nell’articolo è frutto del lavoro di ricerca sviluppato nell’ambito del progetto Ultraplacad, ed è in grado di identificare Dna associato alle cellule del tumore utilizzando un volume di plasma ottenuto dal sangue del paziente corrispondente a 0,04 millilitri (praticamente una sola goccia di sangue). Il metodo, inoltre, semplifica significativamente le procedure di trattamento del campione di sangue prima dell’analisi, rispetto a quanto richiesto dai metodi attualmente disponibili sul mercato, rendendole più semplici, veloci, ed economiche.
Il nuovo metodo identifica sequenze di Dna (il materiale genetico) associate alle cellule tumorali presenti in bassissime concentrazioni nel plasma ottenuto dal sangue del paziente. Per farlo, trae vantaggio da un metodo di rivelazione definito surface plasmon resonance imaging che viene combinato con l’uso di nanoparticelle metalliche funzionalizzate e di Pna, speciali “analoghi” del Dna (molecole simili al Dna sintetizzate in laboratorio). Un prototipo industriale di questa apparecchiatura, frutto del lavoro di tutto il gruppo europeo ULTRAPLACAD, è installato presso l’Irccs Istituto Nazionale Tumori di Roma Regina Elena.
Redazione Nurse Times