Le prospettive per la bimba sono ancora un rebus, ma i medici dell’ospedale genovese hanno dimostrato che i colleghi inglesi si sbagliavano nel darla per spacciata.
Fosse rimasta in patria, Tafida Raqueeb sarebbe probabilmente morta. Se i genitori non avessero avuto quel mix di coraggio, ostinazione e disperazione che li ha portati a combattere con tutte le loro forze, la decisione dei medici inglesi di staccarle la spina l’avrebbe condannata. E così sarebbe stato se non si fossero fatti avanti i medici del Gaslini di Genova.
Era appesa a una serie di “se”, la sua vita, ma ora non è più così. La piccola, cinque anni, è uscita dal reparto di Rianimazione dell’ospedale ligure, dove era stata trasferita lo scorso 15 ottobre dal Royal Hospital di Londra. Ora sarà portata al Guscio dei bimbi dello stesso ospedale, dove inizierà un programma di riabilitazione e lo svezzamento parziale della ventilazione assistita. I genitori saranno coinvolti nel programma, con un training che insegnerà loro come praticare le cure domiciliare per la loro bambina.
Quello di Tafida è un caso umano e giudiziario, di quelli che negli ultimi anni hanno spesso unito e diviso l’Italia e la Gran Bretagna, che hanno protocolli molto differenti per trattare i casi di bambini gravemente malati. La bimba era stata ricoverata in Inghilterra per un “disturbo prolungato della coscienza”, a causa di una emorragia provocata da una malformazione cerebrale. Al Royal London Hospital i medici che la avevano in cura erano convinti che per lei non ci fosse futuro e, come altre volte in casi simili, avevano chiesto all’Alta Corte britannica di poterle staccare i supporti vitali “nel suo maggiore interesse”.
Il tribunale, però, volle credere nella speranza della famiglia Raqeeb e concesse loro il permesso di trasferire la bambina in Italia. Dove è avvenuto quello che sarebbe semplicistico definire un miracolo. Perché i miracoli li fanno le divinità, e questa è invece opera degli uomini, del loro coraggio e della loro competenza. «Tafida stessa ha dimostrato che l’opinione espressa dai medici inglesi di fronte alla Corte inglese era sbagliata», dice ora la madre, Shelina Begum, che ringrazia «la squadra di medici del Gaslini per essersi presi estremamente cura di Tafida, e anche l’opinione pubblica».
Non vuole alimentare la polemica con i colleghi d’oltremanica Andrea Moscatelli, direttore del Centro di Rianimazione neonatale pediatrica del Gaslini: «Non possiamo parlare in termini assoluti di una prognosi non corretta. In questo caso, alla fine, il nostro piano di cura era quello più corretto per la bambina. Non perché lo abbiamo detto noi, ma perché c’è stata una valutazione collegiale in cui anche l’opinione dei medici inglesi ha avuto la sua importanza. Non è una battaglia tra sistemi differenti, ma un’integrazione, e il giudice ha capito come integrare al meglio diversi approcci».
Quanto alle prospettive per Tarifa, la partita è ancora tutta da giocare: «Tafida inizia a stare mezz’ora o un’ora staccata dal ventilatore, quindi a respirare autonomamente. L’obiettivo è consolidare questo risultato. Non possiamo parlare in termini di aspettative, anche perché, nel caso di questi danni neurologici molto gravi, la prognosi è praticamente impossibile: si vedrà col tempo. Il concetto che noi abbiamo sposato è cercare di dare a questa bambina il tempo per capire se poteva esserci un potenziale miglioramento, ma gran parte del potenziale miglioramento lo dobbiamo ancora stabilire e comprendere».
Redazione Nurse Times
Fonte: il Giornale
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