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Bayer condannata in Cassazione a risarcire un medico per i danni conseguenti all’assunzione di un farmaco anti-colesterolo

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La quota di iscrizione annuale all'Ordine degli infermieri «deve pagarla la Asl», la sentenza del giudice
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Per i giudici della Suprema Corte di Cassazione, non è sufficiente “esibire” il brevetto e riempire di avvertimenti il bugiardino per essere esonerati da eventuali responsabilità qualora dall’assunzione del farmaco derivino effetti collaterali gravi e non specificatamente previsti (Cass. Civ. 12225/21)

È notizia di queste ore la condanna del colosso dell’industria farmaceutica tedesca. I fatti risalgono al 1999, quando un medico veneto inizia ad assumere il farmaco “Lipobay”, commercializzato dall’azienda Bayer, per tenere sotto controllo i valori del proprio colesterolo. A distanza di poco tempo dall’assunzione, il consumatore ha iniziato ad avvertire sintomi non previsti che lo hanno poi condotto a sviluppare la c.d. “miopatia dei cingoli” che consiste in una grave forma di distrofia muscolare e che, nel suo caso, ha causato anche gravi dispnee notturne.

Il farmaco è stato ritirato dal commercio nel 2001, due anni dopo l’inizio dell’assunzione, e si stima che nel mondo, almeno altre 50 persone, a causa dell’utilizzo di questo farmaco, abbiamo sviluppato la stessa malattia. La molecola che in questo caso si è rivelata fatale è la “cerivastatina”, inizialmente prodotta per ridurre i valori di colesterolomia e la prevenzione di alcune malattie cardiovascolari.

Secondo i giudici di ultimo grado “l’autorizzazione al commercio non vale di per sé ad escludere la responsabilità civile del produttore”, ma costituiscono solo una garanzia minima verso il consumatore finale del farmaco. Rifacendosi al codice del consumo, poi, hanno evidenziato la difettosità del prodotto “a cagione del principio attivo (cerivastatina) in esso contenuto, determinante l’accentuato rischio di malattie del muscolo rispetto a dosi equipollenti di altre statine, e, pertanto, una minore sicurezza del medesimo rispetto ad altri farmaci della stessa categoria (ipocolesterolemizzanti)”.

Secondo gli ermellini, il ritiro del farmaco dal commercio “pur se volontario, depone invero per la violazione del principio di precauzione anteriormente all’immissione in commercio, al fine di evitare, attesa la riconosciuta tossicità neuromuscolare, la causazione di patologie (quale in particolare la rabdomiolisi) dei muscoli ai relativi assuntori”.

La sentenza ha altresì chiarito che ad escludere la responsabilità del produttore di farmaci non è invero sufficiente nemmeno la mera prova di aver fornito – tramite il foglietto illustrativo (c.d. bugiardino) un’informazione che si sostanzi in una mera avvertenza generica circa la non sicurezza del prodotto, essendo necessaria un’avvertenza idonea a consentire al consumatore di acquisire non già una generica consapevolezza in ordine al possibile verificarsi dell’indicato pericolo bensì di effettuare una corretta valutazione (in considerazione delle peculiari condizioni personali, della particolarità e gravità della patologia nonché del tipo di rimedi esistenti) dei rischi e dei benefici al riguardo, nonché di adottare tutte le necessarie precauzioni volte ad evitare l’insorgenza del danno, e pertanto di volontariamente e consapevolmente esporsi al rischio (con eventuale suo concorso di colpa ex art. 1227 c.c. in caso di relativa sottovalutazione o di abuso del farmaco).

Insomma una sentenza importante non per la Bayer, ma per tutte le industrie farmaceutiche. Maggiore importanza dovrà essere data alla corretta esposizione in bugiardino circa i possibili effetti collaterali derivanti dall’assunzione di un determinato farmaco. Inoltre, in ragione di quanto indicato dagli ermellini, scarsa rilevanza avrà l’esibizione della concessione del brevetto che per la Corte costituisce soltanto fonte di garanzia di minima per il consumatore rispetto alle tutele per esso previste dall’intera disciplina nazionale (nel caso di specie con predominanza del codice al consumo).

Avv. Tommaso Gioia

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