Gestione e prevenzione dell’antibiotico-resistenza sono state al centro di una tavola rotonda nel corso del XX Congresso nazionale Simit.
“La prossima pandemia che dobbiamo affrontare è quella dei germi multiresistenti. La banca mondiale afferma che, se non arrivano nuovi antibiotici, nel 2050 si morirà più di germi multi-resistenti che di cancro”. Così Giuliano Rizzardini, direttore del Dipartimento di Malattie infettive dell’Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano, ha introdotto la relazione di Massimo Andreoni, direttore scientifico della Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali) e direttore della Uoc di Malattie infettive e Day Hospital, Dipartimento di Medicina, Policlinico Tor Vergata di Roma, sulla gestione e sulla prevenzione dell’antibiotico-resistenza nel corso della tavola rotonda “Oltre la pandemia: la gestione della prevenzione e della cura delle malattie infettive”, tenutasi al XX Congresso nazionale Simit, a Milano.
“L’antibiotico resistenza è un problema globale, una vera e propria pandemia che sta andando avanti da anni e che continuerà ad andare avanti per molti anni – ha dichiarato Andreoni, intervistato da Pharmastar –. L’Italia è uno dei paesi che sta pagando lo scotto maggiore. Basti pensare che ogni anno in Italia muoiono quasi 11mila persone per colpa di infezioni dovute a germi multiresistenti e questo, evidentemente, dà la dimensione del problema e del suo impatto non solo in termini di decessi, ma anche a livello economico e di sanità pubblica”.
Contrariamente a quanto spesso si pensa, infatti, i germi multiresistenti non sono più limitati al solo ambito ospedaliero o ai Paesi sviluppati, ma sono una realtà che si sta diffondendo a livello mondiale: in ospedale, nelle Rsa ma anche sul territorio, al domicilio dei pazienti, ma anche nel mondo della zootecnia, degli allevamenti di animali. La loro diffusione nel territorio è fondamentalmente legata al fatto che i soggetti fragili, che spesso fanno uso di antibiotici, diventano portatori di germi multiresistenti che vengono liberati negli ambienti dove loro stessi vivono.
È facile quindi comprendere come si tratti un problema globale, da affrontare con una visione complessiva e approcci integrati, in modo deciso e senza abbandonarsi alla rassegnazione di considerare il problema insuperabile. Come armi, abbiamo nuove capacità di diagnosi e cura, che consentono di migliorare l’aspettativa di vita dei pazienti, ma al tempo stesso creano pazienti fragili. Bisogna usare quello che abbiamo in maniera ragionata.
Per affrontare un problema così complesso la prima necessità è una visione ampia e un intervento unitario e complessivo. L’intervento, pur complicato, deve essere globale, che comprenda anche la formazione del cittadino al corretto uso degli antibiotici, evitando l’automedicazione e il loro uso improprio.
Un ulteriore intervento riguarda il corretto uso degli antibiotici negli ospedali e in tutti gli ambienti sanitari, includendo anche la sanificazione ambientale delle strutture e il controllo della circolazione dei germi al loro interno. Una buona norma potrebbe considerare la possibilità di fare un tampone all’accettazione del paziente in ospedale. Ciò permetterebbe di valutare se la persona è portatore di un germe multiresistente, al fine di isolarla e di impedire il trasferimento del germe ad altre persone. Questo intervento si associa chiaramente al corretto uso dei dispositivi di protezione personale (guanti, camici, mascherine, lavaggio delle mani) da parte di tutto il personale ospedaliero.
Istituire all’interno degli ospedali il ruolo di un infermiere epidemiologo, con la funzione di supervisione, potrebbe essere un notevole aiuto in questa lotta, anche se al momento solo pochi ospedali utilizzano questa opportunità, spesso solo per interventi spot.
Negli ultimi anni, inoltre, è stata più volte segnalata la difficoltà, causata dalla mancanza di nuovi antibiotici, di trattare le infezioni da germi multiresistenti. Sono appena entrati finalmente in terapia alcuni nuovi antibiotici, in grado di contrastare questi germi multiresistenti. “Dobbiamo fare attenzione, perché i germi diventano rapidamente resistenti a questi nuovi antibiotici, e quindi li dobbiamo sapere utilizzare nel modo corretto e più appropriato possibile, sia in termini di correttezza della prescrizione, sia in termini di posologia, sia in termini di durata dell’utilizzo”, ha dichiarato Andreoni.
Questi nuovi antibiotici devono essere pertanto utilizzati in modo ragionevole. È erroneo pensare di limitare l’utilizzo di queste nuove armi solo al fallimento di tutte le altre terapie, in quanto la situazione potrebbe essere troppo compromessa e irrecuperabile.
Emerge poi un problema a livello regolatorio. Oltre a un frequente ritardo nella commercializzazione, le indicazioni sono autorizzate in relazione ai risultati degli studi clinici e alla tipologia di paziente arruolato. Quindi non solo in relazione al tipo di batterio, ma anche sulla sua localizzazione. Di conseguenza il posizionamento potrebbe essere molto più ristretto di quanto in realtà è effettivamente. Questo si scontra con l’approccio dell’infettivologo, che utilizza gli antibiotici con una visione più larga, in base alla sensibilità del batterio all’antibiotico, unita alle informazioni di farmacocinetica e farmacodinamica.
Nella pandemia in corso è emersa l’importanza della multidisciplinarietà nel lavoro di equipe, con un ruolo che per l’infettivologo non dovrebbe essere limitato all’ambito ospedaliero, ma anche integrato con le figure fondamentali del territorio. Potrebbe esse utile identificare figure che, pur incardinate all’interno della struttura centrale ospedaliera, si occupino del territorio, anche in modalità a distanza (per esempio tramite il teleconsulto), soprattutto se si fa riferimento alle Rsa e alla gestione domiciliare di pazienti con stomie o respiratori, così come per la somministrazione sul territorio dei nuovi antibiotici, che almeno inizialmente è utile rimangano prescrivibili solo dall’infettivologo.
Redazione Nurse Times
Fonte: PharmaStar
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