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Ballarò prima e Tagadà ieri…ora cogliamo l’occasione per andare oltre

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Da ieri abbiamo la certezza che rappresentare qualcuno non è direttamente proporzionale al riconoscimento di autorevolezza da parte degli interlocutori, men che meno se quest’ultimi sono professionisti della televisione e dei media in generale.

Non me ne voglia Barbara Mangiacavalli, la cui unica colpa è quella di essere esattamente com’è ovvero genuina laddove questo aggettivo nel suo aspetto positivo rappresenta una professionista che opera “sul campo” non certo di chi vive di comunicazione.

Ballarò prima e Tagadà ieri hanno dimostrato come non ci si improvvisa di fronte alle telecamere, soprattutto quando si è portatori di una specificità professionale che interessa poco a chi presta il suo volto a trasmissioni generaliste. Tiziana Panella dal punto di vista mediatico non ha fatto altro che svolgere il suo lavoro, poco importa se “politicamente scorretto” a chi osserva dalla parte degli Infermieri, accade ogni giorno ed in ogni ambito della quotidianità con effetti ben più gravi rispetto a quanto stiamo discutendo.

Non volendo essere accusato di benaltrismo, occorre avere la capacità di andare oltre e provare ad approfondire la questione evitando il tecnicismo, del quale in maniera obiettiva pare nessuno prenda in considerazione a parte noi.

Stabilito che l’Infermiere di Triage ha tutte le competenze per poter operare in quell’ambito in perfetta autonomia, un dato supportato da un’esperienza ormai consolidata negli anni, non credo che sia sufficiente una trasmissione come Tagadà a mettere in discussione una prassi organizzativa nonché professionalmente riconosciuta e se accade significa mostrare una qualche debolezza.

In questo senso, credo che l’analisi che dovremmo fare non è quella di valutare le capacità della giornalista conduttrice della trasmissione né se questa trasmissione ha operato in regime di disinformazione, ma comprendere dove siamo oggettivamente deboli e perché  nonostante la storytelling dell’infermiere autonomo, professionista, eccetera eccetera.

Senza scomodare Cavicchi, che sul tema pochi giorni prima del presunto scandalo Tagadà, rese bene l’idea con il suo editoriali dal titolo “L’infermiere è il Re del mondo. Ma nessuno lo sa, tranne l’IPASVI”, se serviva un segno profetico che assoggettasse Ivan tra i papabili di santità, ecco che il famigerato programma andato in onda ha svolto egregiamente il suo ruolo, appare evidente che il problema della comunicazione sia quanto mai urgente e quanto è accaduto è prova di ciò che affermo.

Esentare da colpe l’attuale Presidente, alla quale mai ho risparmiato critiche in tal senso, è un passo doveroso nei confronti di chi si ritrova un’eredità pesante rispetto al contesto in cui si trova ad operare, con un sistema in continua contrazione economica, l’impossibilità di poter incidere nei confronti dello stesso e con il rischio sempre maggiore di vedere ridimensionata la valenza professionale della classe infermieristica italiana.

Per questi motivi sostengo da tempo la necessità di un ripensamento di chi siamo rispetto al sistema in cui operiamo e soprattutto il coraggio di agire nei confronti della “norma” che ci ha ingabbiati dentro un meccanismo perverso dal quale non riusciamo a affrancarci.

Di fronte alle affermazioni della Tiziana Panella, non ho assistito ad un can can mediatico che uscisse dai recinti dei social o delle associazioni di categoria, insomma della presunta “lesa maestà” nei confronti degli Infermieri non vi è stato alcun riscontro generalista, nessuno che si ponesse nei confronti a difesa della nostra categoria che non fossero appartenenti alla nostra famiglia. Abbiamo corso il rischio di autocelebrarci come vittime in quel girotondo autoreferenziale che ormai ci paralizza.

Ma se andiamo in fondo alle questioni, perché non dovrebbe essere diverso da così? Quante volte sono chiamati gli Infermieri a parlare di Sanità e Salute nelle trasmissioni?

Eppure capita spesso di vedere Medici, Psicologi, Psichiatri chiamati come ospiti (qualcuno ci ha costruito la sua fortuna) a chiacchierare fuori dagli schemi clinici: questo avrà un valore oppure no? Sarà dimostrazione di qualche dubbio sulla nostra autorevolezza in termini di incidenza sul valore “della tutela della salute”?

Credo di sì e fare finta che così non sia ed accusare una giornalista di disinformazione è per me alquanto pericoloso e probabilmente produce un effetto distrattivo.

Nessuno nega la necessità di parlarne, anzi, cogliere l’occasione per poter sfondare il muro dell’indifferenza nei nostri confronti approfittando di una palese “ignoranza” nei confronti della professione infermieristica è un atto dovuto e che non ci ricapiterà tanto presto, il problema semmai è come e cosa sfruttare di tutto questo in termini positivi e soprattutto mediatici/professionali-

Sul “come” occorre che la FNC utilizzi al meglio color che ne curano la comunicazione, qualche suggerimento sul “cosa” mi sento di poterlo fare.

Intanto occorrerebbe un ripensamento della Professione nel contesto, non è sufficiente appellarci a quanto stabilito dalle norme, se non era chiaro da ciò che scaturisce dai luoghi di lavoro spero che lo sia da come viene percepita e diffusa la nostra immagine.

L’Infermiere è evidentemente ancora ancorato in maniera indissolubile alla figura del medico, per nulla emancipato da una visione ausiliaria, se questo accade è perché chiunque si trovi a dover aver bisogno di noi, non riesce a comprendere la nostra effettiva autonomia. Potrebbe la nostra FNC commissionare un sondaggio, che sia qualitativamente oggettivo e rappresentativo, che ci porti a comprendere quale sia realmente la percezione dei cittadini rispetto alla nostra figura professionale, uscendo dalla banalizzazione dell’utilità, della cortesia e tutto quel contorno simil- alberghiero di cui faremmo volentieri a meno?

Dobbiamo avere il coraggio di osare e non lasciarci cullare dai riscontri positivi che hanno di noi solo coloro che per motivi di malattie “croniche” hanno l’occasione di conoscerci in maniera approfondita e soprattutto osservando la nostra preparazione tecnico-scientifica.

E’ tempo di rimettere in discussione tutto l’impianto delle professioni sanitarie, lo sostengo da un po’ di tempo e lo torno a ripetere: la nostra agitazione nel tentativo di provare ad essere riconosciuti e riconoscibili non è riscontrabile nei confronti di altre “professioni” che sul piano puramente giuridico ci assomigliano per non dire che sono identiche a noi. Questo bisogno non è riscontrabile per esempio nelle professioni tecniche, dove non mi pare esista lo stesso fermento.

Non ho intenzione di provare a dare qualche spiegazione, non conosco la realtà delle altre professioni in maniera approfondita, ma conosco abbastanza la mia per poter affermare con sufficiente certezza che “noi siamo altro”, questo “altro” deve venire fuori in maniera indiscutibile e perché accada non possiamo stare dentro lo stesso circuito contrattuale, formativo e di carriera professionale. Non intendo aprire una guerra inter professionale, mi sembra sufficiente quella che molti colleghi praticano quotidianamente sui social con i medici, ma intendo richiamare ad un ruolo di guida la nostra Professione rispetto a tutto il movimento delle Professioni Sanitarie.

Essendo il tre il numero perfetto, la terza cosa che dovrebbe fare la FNC è prendere in considerazione un tavolo di confronto con le OO.SS. tutte e mettere nero su bianco le sue richieste in termini di tutela della Professione, costruendo un fronte unico che diventi “massa” da contrapporre al sistema ben consolidato dell’intersindacale medica.

Questo non ha la valenza di una “dichiarazione di guerra” ma la semplice messa in opera di un’acquisita mentalità professionale capace di lavorare in contesto complesso, dove le dinamiche relazionali e diplomatiche hanno spesso ruolo propedeutico a qualsiasi percorso.

In questo senso credo che Tagadà e Panella possano diventare davvero lo spartiacque tra il passato ed il futuro, se no rischiamo di rimanere sempre sull’uscio di una evoluzione che non parte.

Il riconoscimento sociale, che per molti è stato messo in discussione con la disgraziata trasmissione televisiva, non si conquista sugli schermi, essi sono la cartina di tornasole successiva alla sua conquista.

Socialmente siamo rilevanti se sapremo costruire dei percorsi, se sapremo essere una professione che sappia guardare oltre le dinamiche di bottega, che tiri una linea netta con il passato, un passato che voglio ricordare rischia di tornare ad ingabbiarci se lasceremo spazio ad una costruzione di competenze come il 566 ci sta imponendo.

Paraddosalmente ci hanno offerto un’occasione per uscire dall’oblio, saperla sfruttare sarà la sfida più difficile

Piero Caramello

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