Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata questa mattina alla giornalista, alla direzione generale Rai e alla direzione di Rai 3.
Gentile Dottoressa Annunziata,
nel suo programma Mezzora in più del 28 febbraio, ha affermato che “…siamo pronti a lavorare, a laurearci non dico in medicina, ma almeno per fare l’infermiere aiutante …”.
Un’affermazione che se poteva essere immaginata – anche se non giustificata – trenta anni fa, a partire dalle leggi che si sono susseguite dall’inizio degli anni ’90 e fino alla legge di Stabilità 2021 che ha identificato la specificità infermieristica proprio per sottolineare gli aspetti già evidenti, ma emersi durante la pandemia della professione infermieristica, rappresentano un atteggiamento riduttivo di una professione che riguarda oltre 454mila infermieri in Italia, e che rappresentano oltre il 60% dei professionisti del nostro Servizio sanitario nazionale.
L’infermiere, infatti, è il professionista laureato con laurea 3+2 come prevede la legge, in possesso anche di master e dottorati di ricerca e spesso di incarichi di docenza universitaria, iscritto obbligatoriamente all’Ordine, che si occupa dell’assistenza al paziente per innalzare dal punto di vista clinico e non solo la sua qualità di vita, risponde al suo Codice deontologico emanato per legge e per legge risponde delle sue responsabilità professionali.
È sotto gli occhi di tutti poi che in questo periodo gli infermieri hanno assistito e difeso la salute delle persone anche mettendo a rischio la propria e purtroppo anche la vita (con oltre 100mila contagi sono la categoria professionale della sanità più colpita da virus), visto il numero di decessi registrati durante la pandemia in corso.
Nessun tipo di “aiuto” al medico o “del medico”, ma semmai in partnership con lui e con gli altri professionisti della salute. Una multi-professionalità tra chi si occupa della diagnosi e della prescrizione della terapia e chi si occupa dell’assistenza, della qualità della vita dei pazienti e della verifica che la terapia sia aderente alle necessità cliniche.
Inoltre gli infermieri, attivi da sempre negli ospedali e sul territorio, sono ritenuti proprio dalle associazioni dei pazienti i professionisti che li affiancano lungo tutto il percorso di vita, perché una volta effettuata la diagnosi e individuata la terapia adeguata sono quelli a cui i pazienti fanno riferimento sia nella scelta del percorso sia nelle difficoltà quotidiane di natura clinica, di autosufficienza, educative, relazionali, riabilitative.
“L’infermiere è la figura che ci permette di gestire al meglio la terapia e spesso ci supporta in alcune scelte terapeutiche e sostiene la nostra qualità di vita”, affermano.
Le chiediamo quindi di evitare frasi ormai obsolete e inutili che sminuiscono una professione riconosciuta da tutti a ben altri livelli e che non rendono certo merito dell’attività che quotidianamente i nostri professionisti svolgono per gli assistiti, soprattutto durante questo periodo di pandemia in cui senza infermieri molti di loro sarebbero rimasti soli.
Se lo riterrà opportuno, e se un anno di informazione sulla Pandemia non è stato per lei bastevole a tale scopo, potrà vedere con i suoi occhi in cosa consiste la professione dell’infermiere: le terapie intensive, le corsie degli ospedali e i pazienti in assistenza domiciliare che senza infermieri non avrebbero assistenza né alcuna speranza di vita saranno la migliore testimonianza per far comprendere che l’infermiere non “aiuta”, ma “assiste” e lo fa in prima persona, autonomamente e con piena competenza professionale con un percorso di studi articolato e continuo. La aspettiamo e siamo sicuri che le basterà anche meno di mezz’ora per rendersene conto sul campo.
Redazione Nurse Times
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