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Alzheimer, in arrivo un vaccino sperimentale

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Il nuovo prodotto (aducanumab) promette di rallentare il decorso della malattia.

Un vaccino che promette di rallentare l’Alzheimer. Non è utopia, ma l’obiettivo di una ricerca che, dopo un primo risultato non soddisfacente, sembra aver imboccato la giusta strada. A sorpresa Biogen ha annunciato che chiederà alle autorità regolatorie americane l’autorizzazione all’immissione in commercio dell’anti-Alzheimer sperimentale aducanumab. E questo dopo che, nel marzo scorso, l’azienda insieme alla partner Eisai aveva sospeso due trial di fase avanzata sul farmaco, a seguito di dati deludenti emersi dall’analisi dei risultati. Ebbene, nuove analisi avrebbero ribaltato il responso, annuncia Biogen che, dopo aver consultato la Food and Drug Administration (Fda), si è detta pronta a chiedere l’approvazione per aducanumab. Le nuove analisi avrebbero infatti messo in luce dati promettenti, e l’annuncio ha fatto volare in borsa Biogen.

L’azienda precisa in una nota che lo studio Emerge di fase III ha raggiunto il suo endpoint primario, mostrando una significativa riduzione del declino clinico dei pazienti trattati con la molecola. Inoltre, anche i dati relativi a un sottogruppo di pazienti nello studio di fase III Engage supportano i risultati di Emerge. “I pazienti che hanno ricevuto aducanumab hanno sperimentato benefici significativi su valori cognitivi e funzioni come memoria, orientamento e linguaggio”, precisa Biogen. I pazienti hanno anche mostrato benefici relativi alle attività della vita quotidiana, dalla capacità di fare le faccende domestiche, a quella di muoversi fuori casa. “Se approvato, aducanumab diventerebbe la prima terapia per ridurre il declino legato alla malattia di Alzheimer; sarebbe inoltre la prima terapia a dimostrare che la rimozione della beta-amiloide ha portato a risultati clinici migliori”, sottolinea l’azienda farmaceutica.

«Con una malattia così devastante, che colpisce decine di milioni di persone in tutto il mondo, l’annuncio di oggi è davvero incoraggiante per la lotta contro l’Alzheimer – ha affermato Michel Vounatsos, amministratore delegato di Biogen –. È il risultato di una ricerca rivoluzionaria ed è la testimonianza della ferma determinazione di Biogen nel seguire la scienza e nel fare la cosa giusta per i pazienti. Siamo fiduciosi di poter offrire ai malati la prima terapia per ridurre il declino clinico dovuto alla malattia di Alzheimer». Sulla base dei contatti con la Fda, la società prevede di presentare la domanda di approvazione all’inizio del 2020. Inoltre continuerà il dialogo con le autorità regolatorie internazionali in Europa e Giappone.

«Alla sperimentazione di questo anticorpo ho dedicato quasi 3 anni di lavoro. Se autorizzato, sarà il primo farmaco che rallenta il declino dei malati di Alzheimer, oltre a modificare morfologicamente il loro cervello, attraverso la rimozione dell’amiloide». A commentare all’AdnKronos Salute l’annuncio di Biogen, che dopo l’analisi di nuovi dati chiederà l’autorizzazione in Usa per aducanumab, è lo scienziato che ha coordinato in Italia i due studi clinici – Engage ed Emerge – condotti sulla molecola. 

«La sperimentazione è stata interrotta nel marzo scorso, a causa di risultati giudicati all’epoca deludenti – spiega Sandro Iannaccone, primario di Riabilitazione specialistica disturbi neurologici cognitivi e motori dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano –, ma i primi dati erano relativi ai dosaggi più bassi: il farmaco si è rivelato efficace in quello più elevato».

Ancora Iannacone: «La sperimentazione in Italia «ha coinvolto una ventina di centri dal Nord al Sud del Paese, con più di 200 pazienti. Il 70% assumeva il farmaco e il resto un placebo. Ma noi stessi, a marzo, siamo rimasti stupiti dallo stop dei trial: i risultati non corrispondevano a quello che vedevamo nei nostri pazienti. I nuovi dati mostrano che il farmaco al dosaggio più alto riduce le placche e ha effetti sul deficit cognitivo. Il fatto è che la sospensione metteva in discussione non solo l’efficacia del medicinale, ma anche il ruolo dell’amiloide nel danno cerebrale. In pratica, si ritornava al punto zero della ricerca, perché sembrava che la molecola riducesse le placche senza però aver effetto sulla malattia». Questo metteva in dubbio il ruolo delle placche stesse nell’Alzheimer: «Ora sappiamo che non è così».

Inoltre «si era visto che, usando l’anticorpo, si verificava un’infiammazione nelle zone del cervello dove c’era l’amiloide», racconta Iannaccone. Un aspetto che aveva preoccupato. «Poi, però, si è visto che la risonanza rilevava sì l’infiammazione – precisa lo scienziato –, ma il paziente non aveva sintomi». Anzi, l’infiammazione era “spia” del fatto che il farmaco stava agendo e rimuovendo l’amiloide. Insomma, i nuovi dati hanno permesso di rivedere il primo giudizio su questo prodotto. C’è però un altro aspetto da tener presente: «L’Alzheimer, a un certo punto, diventa irreversibile, dunque è cruciale avviare la terapia in una fase precoce: sembra infatti che la finestra terapeutica» sia proprio nella fase iniziale. Dunque la ricerca internazionale ora deve avere come obiettivo anche la messa a punto di sistemi mirati per una diagnosi che sia più precoce possibile». Intanto, da marzo i trial sono stati interrotti in tutto il mondo. «Adesso ci dovranno dire cosa fare», conclude il ricercatore.

Redazione Nurse Times

Fonte: Il Messaggero

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