L’importante scoperta, a opera dei ricercatori di numerosi atenei italiani, potrebbe rappresentare una svolta per la prevenzione e la gestione della malattia.
Importante risultato della ricerca condotta da un team multidisciplinare di ricercatori italiani nell’ambito della malattia di Alzheimer, la più comune causa di demenza, in relazione alla quale, nonostante siano trascorsi più di cento anni dalla sua prima descrizione, ancora oggi non si conoscono chiaramente le cause. I ricercatori provengono da importanti atenei italiani: l’Università Magna Grӕcia di Catanzaro (Dipartimento di Scienze della Salute), di Milano (Dipartimento di Chimica), di Trento (Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata), di Pavia (Dipartimento di Scienze del Farmaco) e dallo Spin-Off Universitario Net4Science e dall’Associazione CRISEA.
La ricerca, i cui risultati potrebbero rappresentare una vera e propria svolta nell’ambito della prevenzione e della gestione della malattia, è stata pubblicata sulla più importante rivista di chimica farmaceutica, il Journal of Medicinal Chemistry, con il titolo Identification of compounds targeting HuD. Another brick in the wall of neurodegenerative diseases treatment.
HuD è una proteina legante l’RNA espressa nei tessuti neuronali e coinvolta nelle malattie neurologiche. L’approccio ha combinato le tecniche in silico e STD-NMR, portando all’identificazione dell’acido folico come potente legante di HuD. Questo composto può rappresentare un nuovo candidato per lo sviluppo di migliori trattamenti contro le malattie neurologiche.
“Tutto ciò è stato reso possibile grazie alla collaborazione di un team multidisciplinare – spiega Simona Collina, dell’Università degli Studi di Pavia –. L’indagine scientifica, è il frutto di un lavoro interdisciplinare che ha visto la collaborazione di più gruppi di ricerca. Alessia Pascale dell’Università di Pavia studia da parecchi anni il ruolo fisio-patologico della proteina HuD, che svolge un ruolo cruciale nel controllo post-trascrizionale dell’espressione genica durante lo sviluppo neuronale e la sua disfunzione/disregolazione può contribuire alla patogenesi di numerosi disturbi che coinvolgono il sistema nervoso, sia a livello centrale che periferico. Il nostro Gruppo di Ricerca, aveva già dimostrato come HuD sia implicato nella patogenesi della malattia di Alzheimer(AD) contribuendo all’accumulo di peptidi Aβ nei cervelli di AD, alla stabilizzazione di APP e BACE1 e alla sovraregolazione della neuroserpina”.
“In questo lavoro – spiega Giosuè Costa, dell’Università degli Studi Magna Græcia di Catanzaro –, tramite tecniche in silico di virtual screening, che consiste di processare da un punto di vista teorico un database anche di milioni di composti per arrivare ad un numero ragionevole di molecole potenzialmente attive per il target, abbiamo cercato di identificare dei composti che potessero riconoscere e stabilizzare HuD, una RNA binding protein (RBP). Tra le circa 55.000 molecole esaminate, tra farmaci già approvati dall’FDA e prodotti naturali, tre delle quattro migliori hit cha abbiamo identificato nel nostro laboratorio (acido folico, cefazolina ed enalapril) sono farmaci già in commercio per il trattamento di altre condizioni patologiche. Questi quindi, potrebbero essere riproposti, tramite un processo di drug repurposing, come nuovi candidati per il trattamento delle malattie neurodegenerative. Il loro processo di sviluppo sarebbe notevolmente più rapido poiché sono già stati testati in termini di sicurezza in modelli preclinici e sperimentazioni umane”.
“I risultati teorici, però, non erano sufficienti – aggiunge Francesca Vasile, dell’Università degli Studi di Milano –. Occorreva confermare che i tre composti selezionati interagissero realmente con HuD. Gli esperimenti non solo hanno convalidato i dati teorici, ma hanno anche confermato che è effettivamente l’acido folico a interagire con una maggiore forza verso la proteina HuD”.
“E la conferma finale è arrivata con il saggio cellulare”, conclude Alessia Pascale. I risultati di questa ricerca potrebbero dunque chiarire un meccanismo d’azione ancora sconosciuto dell’acido folico, una vitamina ampiamente utilizzata, suggerendone il suo uso nella prevenzione di alcune malattie neurodegenerative.
“Siamo tutti molto entusiasti delle prospettive che la nostra ricerca apre – riprende Collina –, dato il ruolo di HuD nella genesi e nell’accumulo di Aβ, l’integrazione di acido folico potrebbe rappresentare, insieme ad altri micronutrienti, un valido intervento nutrizionale nell’AD. Certo, occorre essere prudenti, ma siamo fiduciosi. Una recente ricerca condotta da altri ricercatori, ha infatti evidenziato come i pazienti con AD avevano livelli più bassi di folato rispetto ai controlli sani, e come un’assunzione giornaliera sufficiente di acido folico sia in grado di ridurre il rischio di insorgenza di AD. Gli studi hanno quindi già dimostrato che l’integrazione di acido folico può rallentare il declino cognitivo e l’atrofia cerebrale nei pazienti con lieve deterioramento cognitivo”.
“Siamo convinte che i nostri risultati possano aprire la strada alla convalida dell’HuD come bersaglio farmacologico e potrebbero portare alla scoperta di agenti innovativi per contrastare le malattie neurodegenerative – concludono i primi nomi del lavoro, Francesca Alessandra Ambrosio e Adriana Coricello, due giovani ricercatrici entusiaste, che hanno lavorato al progetto con grande passione e determinazione, portando il loro valido contributo –. Ci crediamo, e Nicoletta (ndr, Nicoletta Marchesi, un’altra giovane ricercatrice impegnata sul progetto) sta già lavorando insieme alla Pascale per approfondire l’aspetto biologico. Incrociamo le dita”.
Infine Stefano Alcaro, presidente del centro CRISEA e coordinatore del dottorato in Scienze della vita all’Ateneo catanzarese, aggiunge: “Il collegamento tra acido folico e l’innovativo target HuD coinvolto nelle neurodegenerazioni, evidenziato per la prima volta nel suddetto studio, contribuisce in maniera significativa a rafforzare la reputazione scientifica, anche per il trattamento e la prevenzione dell’Alzheimer, della dieta mediterranea, notoriamente molto ricca di tale vitamina”.
Redazione Nurse Times
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