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Aiutarono Trentini a morire: assoluzione per Cappato e Welby

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Aiutarono Trentini a morire: assolti Cappato e Welby
Marco Cappato e Mina welby dopo l'assolunzione nel processo a Massa per la morte di Davide Trentini
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Davide come Dj Fabo. Per la Corte d’Assise di Massa il fatto non costituisce reato.

Non hanno istigato al suicidio e, se hanno aiutato a morire Davide Trentini (portandolo in Svizzera), malato di sclerosi multipla, che da anni chiedeva di andarsene, il fatto non costituisce reato. Così hanno stabilito i giudici della Corte di Assise di Massa, che hanno assolto Marco Cappato e Mina Welby.

“Assolti perché il fatto non sussiste” per l’accusa di istigazione e assolti dall’accusa di aiuto al suicidio perché il fatto non costituisce reato. Ha vinto la difesa, i giudici hanno accolto le richiesta dell’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Coscioni, da sempre in prima linea sui diritti civili e le libertà personali.

Così si chiude il processo per la morte di Trentini. Cappato e Welby si erano dati da fare, aiutandolo a trovare i soldi necessari alla trasferta e accompagnandolo oltre confine nel 2017, standogli accanto fino all’ultimo istante e poi andandosi ad autodenunciare ai carabinieri. L’ennesimo atto di disobbedienza civile perché cambino le leggi, perché la politica si muova.
La sentenza arriva dopo oltre due anni di udienze per la copresidente e  il tesoriere dell’associazione Coscioni e va oltre quella di Milano nel dicembre 2019, quando Cappato fu assolto dall’identica accusa per Dj Fabo, il quarantenne milanese tetraplegico, in base al pronunciamento della Corte Costituzionale.

I quattro punti previsti dalla Consulta perché l’aiuto al suicidio non fosse reato presupponevano che: una persona fosse tenuta in vita con l’idratazione e l’alimentazione artificiale o sostegni vitali; soffrisse di una malattia irreversibile; che essa fosse fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche; che il malato restasse tuttavia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Il caso di Davide Trentini va oltre la sentenza della Corte Costituzionale perché, malato di sclerosi multipla da trent’anni, non aveva sostegni vitali nel senso di macchine. “E’ un precedente importante – dice Marco Cappato –, perché allarga il margine di applicazione della sentenza della Corte Costituzionale anche per coloro che non sono attaccati ad una macchina. I giudici hanno interpretato in senso più ampio  l’idea di sostegno vitale, includendovi, come dicevano noi, anche terapie farmacologiche, pratiche manuale necessarie alla sopravvivenza”.

La camera di consiglio è durata poco. Lo stesso pubblico ministero aveva usato parole di comprensione nei confronti degli accusati mentre chiedeva una condanna a tre anni e quattro mesi. II pubblico ministero Marco Mansi, aveva infatti subito specificato: “Chiedo la condanna, ma con tutte le attenuanti generiche e ai minimi di legge. Il reato di aiuto al suicidio sussiste, ma credo ai loro nobili intenti. È stato compiuto un atto nell’interesse di Davide Trentini, a cui mancano i presupposti che lo rendano lecito. Colpevoli sì, ma meritevoli di alcune attenuanti che in coscienza non mi sento di negare”.

Subito dopo la sentenza, Cappato ha detto: “Sono ponto a ricominciare il cammino della disobbedienza civile, aiutando in ogni modo, con soldi, accompagnando chi ha deciso che non vuoler più vivere. Perché tutti hanno diritto di scegliere sul fine vita. Abbiamo aiutato Trentini in base a un dovere morale, e lo rifarei esattamente nello stesso modo. Vorrei ricordare che dalla morte di dj Fabo e Trentini altre decine di persone si sono recate in Svizzera per il suicidio assistito e le autorità italiane ne sono state informate da quelle elvetiche. Nessun procedimento penale, però, si è aperto. Quelle persone non hanno avuto bisogno di noi, perché avevano i soldi per farlo e qualcuno che li trasportava. Ma questo non può essere il discrimine tra malati che soffrono”.

Per questo c’ è bisogno di una legge, fatta dal Parlamento e non solo singole sentenze di tribunali: “Ci vogliono tempi brevi e garanzie per tutti i cittadini italiani, e non solo per chi si può permettere un processo. E queste  le può fornire solo il Parlamento italiano”.

Redazione Nurse Times

Fonte: la Repubblica

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