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Affermare l’infermieristica recuperando la relazione ed il tempo di cura: primo obiettivo concreto

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Il profilo professionale degli infermieri così come regolato dal DM 739/1994 all’art. 2 recita testualmente:

L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa e’ di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l’educazione sanitaria“.

Appare subito evidente ad una sua prima lettura anche superficiale che la presenza
delle due parole chiave “relazionale ed educativa” identifica non solo la nostra professione come intellettuale, ma rende questi due aspetti pregnanti e identificativi della stessa.
In un tempo come il nostro in cui si tende a privilegiare l’aspetto tecnico e si tende alla
specializzazione spinta, basti vedere tutta la problematica delle competenze avanzate, si tende a sottovalutare questi fondamentali aspetti che sono in definitiva quelli che effettivamente rendono infungibile la nostra professione.

Le aziende sanitarie da parte loro, complici i piani di rientro ed una aziendalizzazione spinta che ne hanno fatto delle vere e proprie fabbriche legando di fatto la salute
ad un’ottica di profitto, hanno in buona sostanza dato una ulteriore spinta a trascurare questi aspetti che sono invece in realtà indicatori primari della qualità dell’assistenza erogata e di quella percepita dai pazienti.

La compressione degli organici, l’assenza quasi sistematica di personale di supporto e l’età avanzata dei pochi professionisti rimasti in servizio hanno nei fatti reso particolarmente difficile, se non impossibile per gli stessi esercitare la parte relazionale ed educativa del loro mandato, trasformando in buona sostanza l’assistenza infermieristica in una vera e propria catena di montaggio in cui ancora oggi molti di noi si trovano a lavorare con un modello organizzativo per compiti come fossimo meri  operai dietro ad una catena di montaggio.

Il nostro lavoro e la nostra professione sono invece tutt’altra cosa.

Non venitemi a dire che possiamo svolgere il mandato relazionale ed educativo lavando deretani e cambiando pannoloni al posto del personale di supporto.

Le aziende sistematicamente, scientificamente e colpevolmente non forniscono lo staffing necessario preferendo demansionare e sfruttare i pochi infermieri a disposizione, costringendoli non solo a svolgere compiti impropri, ma di fatto impedendo una corretta ed efficace assistenza infermieristica, come appunto recita il nostro profilo professionale ed arrecando non solo un evidente danno ai professionisti stessi, ma addirittura alle persone/pazienti che dovrebbero per loro mandato istituzionale curare.

In questo quadro davvero desolante per la salute, non può sfuggire che gli infermieri sono presi tra due fuochi di sbarramento che impediscono lo sviluppo e l’affermazione sociale ed economica della nostra indispensabile professione: da una parte le organizzazioni sanitarie che non ne valorizzano il ruolo fondamentale ed anzi tendono a sfruttare i professionisti per perseguire profitti e risparmi immediati; dall’altro i cittadini/pazienti che vedendosi negate di fatto una grande fetta di cure infermieristiche e sentendosi come oggetti da riparare e non come persone da ascoltare iniziano ad avere una scarsa considerazione dei professionisti infermieri.

Inoltre questo stato di cose sta minando anche la nostra autostima, la nostra motivazione, racchiudendo troppi di noi un una scatola di galleggiamento ove aspettare l’agognata pensione senza più stimoli nel progredire e dare quel qualcosa in più.

Sarà mai possibile un riscatto da questa infima situazione per i professionisti infermieri?

Certamente si perchè se lo si vuole veramente tutto è possibile e tutto si può fare.

Inoltre dobbiamo capire che è anche una esigenza deontologica che ci pressa e che ci impone quella posizione di advocacy nei confronti dei nostri assistiti. Tutto questo insieme ci deve spingere e motivare verso un modello di human caring già da tempo ipotizzato nella Teoria di Jean WATSON sullo HUMAN CARING e sulle SCIENZE del CARING, che ne rappresentano la massima espressione.

Infine non possiamo immaginare di avere una immagine diversa da quella che trasmettiamo, cioè quella di operai che si affannano come in una catena di montaggio.

Dobbiamo quindi uscire dal contenitore di galleggiamento,la demotivazione deve diventare forte motivazione.

Dobbiamo riprendere l’orgoglio ed il senso di appartenenza ad una professione, affermando il nostro sacrosanto diritto di esercitarla per quanto previsto dalla legge e per quello per cui abbiamo duramente studiato in anni di università.

Continuare a lamentarsi e piangerci addosso senza avere la forza di fare nulla per cambiare questa situazione, aspettando una pensione che non arriva ma che comunque non ci porterà da nessuna parte, così come sperare nelle competenze avanzate che significano tutto e niente, lungi dall’essere fruibili e che oltretutto se non essendoci le condizione di espletare correttamente il mandato di base non hanno senso di esistere.

Ci trasformerebbero solamente da operai ad operai specializzati, ma se non ci riappropriamo del tempo di cura, del tempo di ascolto, del tempo di valutazione, del tempo di pianificazione e della valutazione degli esiti, comunque non ci scrollerà dalle spalle l’essere visti, giudicati e percepiti come operai.

Il tempo di cura deve essere il nostro primo obiettivo perchè non siamo in una catena di montaggio, perchè la relazione che cura e che fa parte della nostra professione richiede tempo e per questo c’è bisogno di più infermieri.

C’è bisogno di sovvertire il modello organizzativo del lavoro nelle organizzazioni sanitarie e ad alta voce dire “noi valiamo di più!” e vogliamo dimostrare quanto diversa possa essere la qualità dell’esperienza malattia e/o disabilità con al fianco infermieri capaci e messi in condizione di esercitare il loro mandato.

Possiamo affermare senza tema di smentita che più infermieri sommato al modello organizzativo adeguato è uguale a risparmio.

Ad esempio sul rischio di errori e relativi costosi contenziosi, sulla qualità percepita ed effettiva dell’assistenza erogata, con dimissioni precoci e prevenzione sul territorio delle riammissioni in ospedale certamente ci sarà bisogno di un investimento,ma esso dovrà essere prima che economico culturale nelle teste dei nostri decisori per renderli capaci di vedere le potenzialità di efficienza e risparmio derivanti dalla valorizzazione della nostra professione,per far capire loro che l’unico risparmio possibile in questo campo è la qualità.

Su questa strada non siamo soli, la FNOPI (il nostro ordine professionale nazionale) ha già più volte ed in molte sedi lanciato questo grido, ma ha bisogno di tutti noi perchè ogni cambiamento inizia dai singoli che si stringono insieme, che trovano motivazioni comuni e decidono di dire: adesso basta!

Sta quindi a noi trovare al nostro interno la forza per uscire dal contenitore in cui ci siamo relegati, tirare fuori la testa, stringerci tra noi ed affermare la nostra professione ed in fondo se ci ragioniamo un attimino senza piangerci addosso se non noi, chi altro può tirarci fuori da questa ignobile situazione?

Siamo infermieri tiriamo fuori l’orgoglio di esserlo, pretendiamo il nostro tempo di cura così stringeremo una nuova alleanza vera e fattiva con i nostri pazienti e con le loro famiglie e questa unione, questa alleanza rinnovata e ribadita ci porterà verso il nostro traguardo.

 

Angelo De Angelis

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