L’Associazione Avvocatura di Diritto Infermieristico dice …
Commento a Cassazione Lavoro VI sez. n. 23123/2016
Un po’ di chiarezza sull’ordinanza della Cass. Sez. VI Lavoro n. 23123/16 riguardante il “Tempo Tuta” onde evitare di ingenerare confusione.
Come è nostra abitudine, le sentenze non le appiccichiamo sui siti o nei social network, non copiamo tesi dottrinali altrui per farle nostre, ma ci mettiamo con impegno e abnegazione a leggerle attentamente, studiandole per cercare di comprendere se il punto di diritto espresso sia modificato rispetto ai precedenti orientamenti giurisprudenziali o se la fattispecie giuridica sia o meno applicabile al caso che ci interessa.
Nel caso di specie, ossia l’ordinanza della Cass. VI Sez. civile, n. 23123/2016, nei fatti, non ha mutato di una virgola l’orientamento oramai consolidato della giurisprudenza in fatto di “Tempo Tuta”, quindi cari colleghi potete stare sereni perché l’istituto, ad oggi, deve essere ancora riconosciuto e pagato, ma con dei limiti (sempre esistiti) che riguardano le prove a suffragio del ricorso.
Lo afferma la stessa Corte nell’ordinanza succitata, ma veniamo al dettaglio; un infermiere dipendente della ASP di Gela conviene in giudizio la propria azienda richiedendo il pagamento della retribuzione aggiuntiva spettante in relazione al tempo impiegato per indossare e dismettere la divisa di lavoro, all’inizio e al termine di ogni turno di lavoro, tempo stimato in circa 20 minuti.
Il Tribunale di prime cure accoglieva la domanda limitatamente alla domanda di indennità di vestizione e al pagamento dello straordinario come quantificato in atti.
Non contenta delle risultanze, infermiere/a ricorre in Appello, la corte di Appello riforma parzialmente la sentenza di I grado rigettando la domanda relativa all’indennità di vestizione, confermando solo lo straordinario, giacché non era stata dimostrata che l’attività di vestizione e svestizione fosse esuberante rispetto all’orario di lavoro, inoltre, non era stata dimostrata la prova che l’azienda avesse imposto di anticipare l’orario di entrata e posticipare l’orario di uscita proprio per la vestizione e svestizione della divisa.
Non avendo dimostrato l’etero direzione e l’obbligatorietà della vestizione la corte territoriale ha confermato solo il pagamento delle ore straordinarie come identificate nel cartellino marcatempo relativo al 31.3.2013.
La ricorrente fa ulteriore ricorso in Cassazione articolando la doglianza in sei motivi.
La Suprema Corte dal canto suo, dichiara 4 dei sei motivi del ricorso inammissibili per i quali, tre dei quattro ineriscono a tematiche procedurali che non modificano le risultanze di merito dell’ordinanza, e quindi, non le menzioneremo, mentre per uno è importante argomentare come di seguito.
La ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale (Appello) non abbia valutato a sufficienza le emergenze istruttorie acquisite a processo, fatti ritenuti decisivi per la decisione della controversia.
La Corte ricorda che come espresso in più occasioni da svariate sentenze, il principio secondo il quale “il tempo impiegato per vestire e dismettere la divisa sia da considerarsi a tutti gli effetti tempo di lavoro effettivo, e debba essere pertanto retribuito, ove questo sia eterodiretta dal datore di lavoro, il quale ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, ovvero si tratti di operazioni di carattere strettamente necessario e obbligatorio per lo svolgimento dell’attività lavorativa” è attualmente criterio ermeneutico invariato per stabilire se si sia, o meno, in presenza di lavoro effettivo, e, come tale retribuibile.
È proprio qui il discrimine che consente di distinguere nel rapporto di lavoro una fase finale, ed una fase iniziale o preparatoria, relativa a prestazioni o attività accessorie e strumentali da eseguire nell’ambito della disciplina di impresa, ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale, ad esempio può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella iniziale o preparatoria.
Per capirci, il tempo necessario a indossare l’abbigliamento di servizio (divisa infermerie) costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da etero direzione (ossia imposto dall’azienda).
In difetto quindi di direttive specifiche in tal senso, l’attività di vestizione rientrerebbe nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore, e, come tale, non da titolo ad autonomo corrispettivo (remunerazione).
La Corte di Appello ha giustamente tenuto conto del contenuto dei cartellini marcatempo e delle prove testimoniali che conducono ad una ricostruzione diversa sul piano probatorio rispetto a quella proposta dal ricorrente, vediamoli in dettaglio:
- Non è stata offerta prova che il dipendente fosse costretto a entrare in anticipo e a uscire in ritardo per indossare e dismettere la divisa rispetto all’orario di servizio contrattualmente imposto.
- Le attività di vestizione e svestizione è stato accertato dalla Corte, erano comprese nell’orario di entrata e uscita dal lavoro e dunque nell’orario di lavoro.
- Non ci sono prove documentali che obbligano il lavoratore ad anticipare l’entrata e posticipare l’uscita dal servizio.
- Le uniche risultanze documentali proposte dalla ricorrente si limitano a imporre di indossare la divisa successivamente all’entrata in servizio e a dismetterla prima dell’uscita.
- Che il tempo per indossare e dismettere la divisa era stato regolarmente retribuito (ricordate che è orario di lavoro contrattualmente stabilito).
- Che dai cartellini marcatempo si evinceva che nella stragrande maggioranza dei casi l’orario di entrata e di uscita coincideva con l’orario di lavoro previsto nei vari turni.
- Che l’eccedenza oraria collegata alla prestazione di lavoro straordinario era stata regolarmente retribuita.
In conclusione come si può ben vedere, la Corte territoriale ha ritenuto giustamente, che in assenza di prova espressa e di disposizione aziendale l’attività di vestizione e svestizione era da considerarsi attività preparatoria accessoria collegata alla prestazione principiale e come tale, non sottoposta a corrispettivo.
Per concludere, la Corte di Cassazione ha sposato in pieno la tesi espressa dalla Corte territoriale condannando alle spese di giustizia il ricorrente, bisogna quindi ricordare che il tempo tuta è certamente e per giurisprudenza consolidata, un diritto del lavoratore, ma va dimostrata la necessità di dover utilizzare ai fini lavorativi la divisa, altrimenti si rischia di vedersi il ricorso rigettato.
Il direttivo AADI
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