La Regione Puglia ha detto sì al vaccino Covid obbligatorio per gli operatori sanitari. La III Commissione consiliare della Regione Puglia ha approvato, con la sola astensione del presidente, il consigliere Fabiano Amati, che estende l’obbligo per gli operatori sanitari di vaccinarsi anche contro il Covid 19. L’Associazione Avvocatura degli Infermieri risponde diffidando la Regione.
Riportiamo di seguito la dichiarazione pubbligata sul portale di Aadi da Mauro Di Fresco.
La scrivente Associazione professionale, considerando quanto emerge dalla conferenza stampa nella quale, la giunta regionale, ha comunicato la pubblicazione imminente della legge regionale che imporrebbe la vaccinazione SARS-COVID-2 agli operatori sanitari, La invita a non pubblicare la paventata legge per evidenti profili insanabili di incostituzionalità, meglio precisati come segue e, per la quale, la scrivente Associazione si riserva, fin d’ora, la costituzione nel giudizio avverso:
le misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 che la Regione può attuare, devono porsi in linea con quanto statuito a livello statale, evitando inopportune ingerenze statali e modifiche in melius o in peius che comportino mutatio della voluntas legislatoris.
Ciò è espresso negli artt. 117, secondo comma, lettere m), q), h), e terzo comma, nonché 118 e 120 della Costituzione e nel principio di leale collaborazione sancito dalla giurisprudenza costituzionale che spinge per una riserva di legge statale nelle materie relative all’ordine pubblico e alla sicurezza, all’ordinamento civile e penale (per cui la Regione non può irrogare sanzioni in materie riservate allo Stato) e giustizia amministrativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Quelle relative alla tutela della salute sono materie di legislazione concorrente, salvo che la legge non disponga diversamente, ma con un limite: il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.
Premesso ciò, l’art. 32, co. 2 Cost. prevede una riserva di legge statale che impedisce alle Regioni di derogare all’autodeterminazione del singolo sui trattamenti sanitari e, quindi, non può comprimere il diritto di rifiutare, nel caso concreto, la vaccinazione, in quanto non esente da rischi biologici.
La giurisprudenza ha riconosciuto la potestà statale nella materia che concerne l’obbligo a specifici trattamenti sanitari, facendone derivare la ratio dall’art. 117, secondo comma, lettera q, Cost., con riguardo alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), oltre che ai principi fondamentali della tutela della salute, tali da imporsi anche all’autonomia regionale e fin oltre speciale.
La legge regionale non può dare luogo ad un meccanismo autonomo ed alternativo di gestione dell’emergenza sanitaria, cristallizzando con legge, una situazione che la normativa statale consente alle Regioni di gestire esclusivamente in via amministrativa.
Tale aspetto rileva marcatamente nella necessità di gestire unitariamente una crisi che riveste carattere internazionale e nazionale, anche in ragione della allocazione delle funzioni amministrative da parte del legislatore statale, secondo il principio di sussidiarietà (art. 118 Cost.), e a seguito di una parziale attrazione allo Stato che impedisce di settorializzare le strategie di contenimento virale in più frazioni regionali o, per assurdo, addirittura metropolitane, una condotta che non si può tollerare a fronte di una parcellizzazione della salute pubblica che trasformerebbe l’Italia in feudi.
L’azione di contrasto al virus deve essere, invece, coordinata e realizzata a livello centrale, onde evitare anche confusione, disparità di trattamento, azioni più o meno efficaci o, addirittura, anche idonee a contrastare programmi nazionali internazionali per la lotta alla diffusione COVID-19.
La Regione che autogestisce la Pandemia COVID-19, spesso crea norme di resistenza in opposizione a quella statale che mirano, invece, ad una maggior compattezza, sinergia, univocità e parità di diritti e doveri, conformemente alle direttive europee in materia di COVID-19 e alle autorità medico-scientifiche riconosciute a livello internazionale (OMS, HHS, CDC).
La Regione, anarchica sul piano legislativo, non riconosce le regole dello Stato e del diritto comunitario ed internazionale e così, crea inevitabili conflitti e disorientamento sociale.
In rispetto del principio di leale collaborazione statale e considerando la voluminosa legislazione prodotta dai DD.P.C.M e i DD.LL. mirati al controllo della diffusione COVID-19, la legislazione regionale adottata al fine di conseguire gli stessi scopi della legislazione statale, seppur connotata da bona fide, finisce per sconfinare i limiti imposti dalla Costituzione che, giustamente, intende evitare antinomie e disorientamento, oltre che violare i diritti costituzionali imponendo prestazioni rischiose e, comunque, ancora di dubbia efficacia che possono e devono essere vagliate dal singolo nel rispetto dell’autonomia decisionale che, senza dubbio, le cui decisioni incideranno, anche a lungo tempore, sulla propria salute, purtroppo come casisticamente dimostrato.
Questa libertà fondamentale è l’essenza dei diritti civili del nostro Paese e non può essere vanificata da una legge localistica che evita un confronto più ampio (Governo o parlamentare) e sostiene un senso soggettivo d’urgenza, catalizzando terrore e panico, scevra da un programma nazionale, già in corso d’opera, che coinvolge l’intero territorio nazionale.
L’art. 1 del D.L. 25 marzo 2020 n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 – 20G00035) prescrive di adottare misure di contenimento, anche regionali, “secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso”, ma mai autonomamente e arbitrariamente, ma sempre di concerto e (art. 2) “su proposta dei presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale”. Parimenti saranno adottati i decreti di cui al presente comma.
Ciò orienta la questione su un piano strategico condiviso e mai localistico; infatti, i provvedimenti anti COVID-19 sono adottati sentito, di norma, il Comitato tecnico-scientifico (art. 2).
La legislazione statale che fronteggia la pandemia da COVID-19 è mirata a garantire l’uniformità anche sul piano della erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali senza discriminazioni e, perciò, il legislatore statale ha determinato un principio fondamentale in materia di tutela della salute, dal quale la legge regionale si discosterebbe, in violazione per di più del principio di leale collaborazione.
Per giurisprudenza consolidata “le Regioni devono esercitare i propri poteri in materia sanitaria in modo da non contraddire il contenuto delle misure statali, se del caso specificandolo a livello operativo” – Corte Cost., 14 gennaio 2021 n. 4.
Come statuito dalla Corte Cost. nell’ordinanza n. 107 del 2010, gli interventi rientranti nella materia della profilassi internazionale sono di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera q), Cost. e, quindi, sussisterebbe, in caso di discostamento dalla volontà statale, il rischio di un grave ed irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico, nonché il rischio di un pregiudizio grave e irreparabile per i diritti dei cittadini.
Tale rischio è talmente grave che, nel caso fosse eccepita in contenzioso ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953 n. 83, la Corte Cost. dovrà procedere in via cautelare.
Il senso normativo, che qui si impugna e non si può tollerare, attiene alla libertà dell’autodeterminazione dei cittadini che può essere derogata solo dalla legge statale e non regionale.
I cittadini pugliesi non possono subire limitazioni della propria libertà di scelta in ambito personale qual è la salute, rispetto agli altri cittadini italiani, come se la Puglia fosse un principato separato ed autonomo dall’Italia e possedesse potere di derogare la Costituzione Italiana.
Non si possono neppure avanzare legittime giustificazioni sul fronte della salute di zona, perché, per esempio, pur essendo indubbio che il fumo di sigaretta nuoccia gravemente alla salute è causa 93.000 morti l’anno solo in Italia (dati 2020) ciò non consentirebbe alla Regione Puglia di vietare la vendita dei Monopoli di Stato per le stesse ragioni sopra sottese.
Per questi motivi, la scrivente Associazione Avvocatura Degli Infermieri, La diffida dal pubblicare la paventata legge, come meglio sopra indicata; in difetto provvederemo ad impugnarla nelle sedi opportune.
Il Dirigente
Dott. Mauro Di Fresco
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