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Il documento sulle competenze specialistiche visto da un infermiere “gene-ralista”

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Introduzione di Papagni Giuseppe

Il documento sulle competenze specialistiche degli infermieri ripreso da questo giornale sta avviando tra gli infermieri una serie di riflessioni, stimolando discussioni che verranno puntualmente riprese da questa testata.  

Le aspettative riposte in questo documento sono alte proprio perché dopo l”incompiuta legge n. 43 del 2006, si ritorna a parlare di infermiere con competenze specialistiche. Quello che però non convince è l’aver (volutamente?) lasciato indietro la maggior parte di questi infermieri, inserendoli nella categoria generalista. Sarà forse perché il documento è stato redatto da soli infermieri dirigenti?

Perché nessun infermiere “generalista” è stato coinvolto nella stesura del documento?

Noi crediamo che, alla crescita delle competenze debba seguire un’eguale crescita economica della parte stipendiale, eliminando il concetto del costo zero, dimostrando la validità del progetto e l’impatto positivo sui conti della sanità a cui regioni e direttori generali guardano con interesse. La partita è tutta aperta e gli infermieri nel loro quotidiano professionale sono già impegnati in competenze specialistiche, che svolgono con grande competenza, sopperendo anche la mancanza nelle dotazioni organiche delle figure di supporto. Questi colleghi che vivono la clinica specialistica da tanti anni hanno sicuramente acquisito le competenze descritte nel documento.

NurseTimes accoglierà le riflessioni dei colleghi su questo documento che si propone come un progetto evolutivo della nostra professione.

In questa intervista rilasciataci dalla collega Patrizia Leoni vengono affrontate alcune tematiche d’attualità e discusse alcune criticità presenti all’interno del sistema formativo universitario.

1. Ciao Patrizia, grazie per aver accettato di essere intervistata da NurseTimes, presentati ai nostri lettori

Ciao Giuseppe, grazie a Voi per avermi invitata.

Sono della provincia di Roma, laureata presso l’Università  la Sapienza in  Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche ed ho conseguito un Master in Area Critica.

Ho iniziato la mia avventura di infermiera lavorando  al Policlinico Umberto I, rianimazione e sala rossa del D.E.A. II livello, tramite cooperativa. Sono passata in una clinica di riabilitazione convenzionata con il S.S.N. per poi approdare all’ Azienda Regionale Emergenza Sanitaria ARES 118. Anche qui sono andata avanti con contratti a tre e sei mesi, finché finalmente è arrivata la stabilizzazione attraverso un concorso pubblico. Da oltre cinque anni lavoro per un ente istituzionale sempre in qualità di infermiera emergentista.

Ho raccontato tutto ciò per dire ai giovani colleghi di stringere i denti, perché arriverà anche per loro il momento di avere un lavoro degno di essere chiamato con questo nome, con la speranza che vengano cancellate per sempre le cooperative, che rappresentano il caporalato del XXI Secolo.

2. Durante il consiglio nazionale straordinario della Fnc Ipasvi del 4 luglio viene presentato un documento approvato il 25/04/2015 con delibera n. 79 del Comitato Centrale. Il documento elaborato da un gruppo di “infermieri esperti” coordinati da Annalisa Silvestro, propone un modello  di evoluzione delle competenze degli infermieri. Qual è il tuo giudizio in merito? 

Su questo argomento con me tocchi un nervo scoperto. Trovo demoralizzante che si possa pensare di redigere una proposta di quel genere; forse questi autoproclamati “esperti” hanno dimenticato chi è il vero infermiere.

Hanno previsto, in quella proposta, un’infinità di infermieri dirigenti di vari livelli, lasciando al laureato triennale e agli equipollenti la manovalanza. 

Come a dire, torniamo agli infermieri di base togliendo gli OSS, o forse il contrario, chissà.

Detta così i colleghi con diversi titoli accademici potrebbero dire: “finalmente si ricordano di noi e di quanti anni abbiamo dedicato allo studio”, ma così non è.

Credo infatti che tutto questo, serva per rimpinguare le casse esangui delle varie facoltà di Medicina e Chirurgia, mentre per  l’infermiere ci sarebbe un vero e proprio ritorno al passato, verremmo riproiettati direttamente negli anni ’70 dello scorso secolo con l’atroce regressione dell’attuale figura dell’infermiere di oggi, che da  responsabile della completa assistenza infermieristica, come previsto dal nostro profilo professionale, tornerebbe ad essere un ausiliario dei suoi stessi colleghi. Insomma il ritorno all’infermiere gene – rico / gene – ralista.

E’  vero che da sempre noi infermieri italiani puntiamo al Servizio Sanitario Anglosassone;  è vero che dal lontano 1978 con la legge 833 abbiamo abbandonato il modello tedesco Bismarck (le mutue per intenderci) per passare al modello Beveridge, lo stesso attualmente utilizzato  in Inghilterra; è vero che io per prima tendo a voler assomigliare sempre più all’infermiere anglosassone, soprattutto statunitense, ma questo va fatto  prendendo in toto le loro regole e applicandole anche in Italia.

Se, però, questo non si può fare, allora si guarderà altrove, ad esempio alla vicina Spagna, molto più simile a noi per problemi socio – economici, che continua a darci esempi di evoluzione professionale già da molti anni. A mio parere però per una volta potremmo essere noi i portabandiera invece di copiare sempre qualcun altro. Potremmo, ad esempio, parlare della prescrizione dei farmaci e dei presidi, visto è stato  il Presidente della Repubblica nello scorso anno a riconoscere la prescrizione anche infermieristica transfrontaliera e, già questo, ci dovrebbe spianare la strada. Abbiamo bisogno di autonomia per quanto riguarda l’utilizzo di tecniche che già usiamo nel quotidiano, ma che stranamente vanno autorizzate dal personale medico, come se gli infermieri fossero degli anancefalici.

Di certo si sente il bisogno di  una laurea a ciclo unico, seguita poi da una specializzazione che si dividerà nelle aree già individuate dalla legge 43/2006 e dall’ormai famoso comma 566 ma mai attuate, che porterà ad avere professionisti che si assumeranno responsabilità secondo il grado di preparazione.

Questo perché se vogliamo pari dignità dei medici, dobbiamo avere anche pari formazione, è l’unico modo per abbandonare questa sudditanza che non accenna a scemare nei loro confronti. Qualcuno può obiettare che in questo modo saremmo molti di meno di quanti siamo oggi; io a questo rispondo che lo saremmo in ogni caso, basta vedere i nostri giovani colleghi che dopo la laurea vengono invitati a fare la valigia e a partire.

3. Recentemente hai esposto una denuncia sull’attività di tirocinio clinico di alcuni studenti del cdl in Infermieristica di Chieti, vuoi descriverci cosa hai notato?

Ho parlato di un ospedale della provincia di Chieti perché quel giorno era lì che mi trovavo, ma ciò che ho visto ed ho sentito il dovere di denunciare pubblicamente, accade quasi ovunque in Italia, eccetto qualche isola felice. Gli studenti in Infermieristica, vengono utilizzati per lavori di manovalanza e come tappabuchi in carenza di OSS e OTA, nel più totale abbandono da parte dei colleghi che dovrebbero essere chiamati a fare da tutor. Non solo, ho sentito spesso gli stessi colleghi che non li hanno seguiti, lamentarsi successivamente perché le giovani leve non sanno fare gli infermieri. Io però non credo proprio che il problema siano gli studenti, che sono sì demoralizzati e demotivati, ma sfido chiunque a non esserlo. Per tutto questo dobbiamo ringraziare i corsi universitari triennali basati su moduli, tante materie per un unico esame e un unico voto e gli ospedali che li prendono come tirocinanti, ma li utilizzano come forza lavoro e tappabuchi e anche come inservienti.

Ti faccio un esempio per essere più chiara: a fine marzo di quest’anno ho partecipato come spettatore alla discussione di tesi dei laureandi infermieri e ti posso assicurare che ad ognuno di loro avevano “concesso” tre minuti più uno per esporre la tesi, dopodiché suonava una sveglietta e se lo studente continuava rischiava, di essere interrotto o peggio ancora di vedersi abbassare il voto.

Quindi immagina il dispiacere e i  commenti di tutti quei genitori, che hanno fatto grandi sacrifici economici per vedere i figli laureati e che non sono riusciti a capire cosa stessero dicendo i loro ragazzi.

Non facevano più bella figura passando direttamente a dichiararli dottore? Al momento del giudizio peggio ancora, voti bassissimi, un solo 110 perché la relatrice era la Presidente del corso; per gli altri si aggiravano tutti intorno ai 90/110 e il membro IPASVI presente si è giustificato dicendo che ciò che conta è il voto  dell’esame abilitante e non quello di laurea. Ora io chiedo a tutti i colleghi: a quanti di voi sarà capitato che venisse richiesto quel voto? a me mai! E poi, da insegnanti non vi chiedete, vedendo una così bassa resa di tutti gli studenti, se il problema non derivi dall’insegnamento?

Guarda, se io ne avessi le possibilità e se il corso di laurea in infermieristica fosse un muro composto da tanti mattoncini, io prenderei una ruspa ed arriverei a demolire fino alle fondamenta per poi ricostruire, magari con persone che credono in ciò che fanno.

4. La tua ricetta per definire le nuove competenze infermieristiche per gli infermieri.

Potrei farti una lista infinita, ma mi limito ai punti necessari per permettere a questo professionista di liberarsi delle catene che lo tengono al palo e non gli permettono di evolvere.

Innanzi tutto il Codice Deontologico: abolire completamente l’art. 49 che demansiona di fatto l’Infermiere.

Se è vero come è vero che il Codice Deontologico è l’insieme delle regole di autodisciplina e di comportamento che si detta un gruppo di professionisti alla luce dei valori della professione stessa, non vedo perché dobbiamo sottostare a quest’articolo, scritto da pochissimi, e che la gran parte degli infermieri  vorrebbero cancellare.

Il giuramento degli infermieri: sembra più il giuramento delle suore quando prendono i voti che il giuramento fatto dai professionisti della salute del XXI secolo.

E’ evidente il fallimento totale del corso triennale più la magistrale gestito per moduli, che crea lacune enormi e sforna professionisti obbligati  successivamente a tornare ai corsi privati per completare la loro formazione di base.

Innanzitutto toglierei infermieristica 1: il rifacimento dei letti, l’igiene del paziente o come si passa il vitto non può essere compito del responsabile dell’assistenza infermieristica ed è una vergogna solo assistere a quelle lezioni, pensando che ci troviamo nella facoltà di Medicina e Chirurgia.

E’ arrivato il momento di avere una laurea a ciclo unico uguale per tutti, abbandonare i moduli per un corso universitario che si occupi di tutta la formazione inserendo al suo interno temi fondamentali come: BLSD, ALS, wound care, Pic e Midline, lettura ECG e tanto altro che ora, gli studenti, sono  costretti a  frequentare presso dei Provider dopo aver conseguita la laurea.

Successivamente si avrà accesso alle varie specializzazioni previste dalla legge 42/2006 e riprese dalla legge 190/2014 al comma 566, attraverso dei master universitari che faranno dell’infermiere uno specialista.

Credo sia fondamentale un piano di studi del genere se vogliamo stare a pari livello dei medici e avere la piena autonomia professionale. Non si può pensare di voler crescere senza abbandonare una formazione che risale alla notte dei tempi e soprattutto non si può permettere, dopo che si è voluta l’equipollenza quasi un ventennio fa, che ora si torni a pensare a diversi livelli professionali per gli infermieri, modello tipico degli anni ’70 del secolo scorso.

Grazie Patrizia

Giuseppe Papagni
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