Lecce, la Stroke Unit del V. Fazzi al 12esimo posto tra 170 realtà in Italia
C’è anche al sud una Sanità fatta di eccellenze, nonostante tutto. A portare lustro in un territorio difficile come il nostro, portando alla ribalta delle belle realtà professionali fino a diventare dei veri e propri fari di riferimento per tutta la sanità di questo territorio e non solo…
Ma veniamo ai dati che rendono onore al reparto ubicato al 6° piano del nosocomio leccese, diretto dal dott. Leonardo Barbarini, presentati nel corso del 2° Congresso Nazionale sull’Ictus Cerebrale, tenutosi a Firenze nel febbraio scorso. Come riporta l’associazione “Salute Salento”, la Stroke di Lecce, l’unica struttura nella Asl in grado di curare l’ictus e ridurre l’indice di mortalità e invalidità, collocandosi al 12° posto su 170 Stroke presenti in Italia.
La prima realtà in Puglia, riuscendo a far meglio anche di molte strutture più blasonate, come il Gemelli di Roma e l’azienda universitaria di Parma.
Inoltrandoci nel dettaglio tecnico, la “trombolisi intra-venosa” è una terapia specifica che viene praticata (al Fazzi dal 2007) a quei soggetti colpiti da ictus entro 4-5 ore. La prima fase di intervento mira ad individuare l’area cerebrale colpita, attraverso una Tac cerebrale ed un ecodoppler dei vasi del collo.
I dati, sono abbastanza chiari: nel 2014 ne sono state effettuate 66, pari al 40 per cento delle 163 eseguite nelle 7 Stroke di tutta la Puglia. Dallo scorso anno, se il trombo non si scioglie, l’equipe del Fazzi ed il neuroradiologo Fernando Lupo nello specifico, sono in grado di praticare una “trombolisi intra-arteriosa”.
Una metodica interventistica per risucchiare il grosso coagulo. Da qui un dato di criticità riferito dall’associazione.
In Puglia le Stroke Unit dovrebbero essere 20, una ogni 200mila abitanti. Sono invece 7 e coprono il 35% del fabbisogno.
Quanto poi alle trombolisi, l’anno scorso in Puglia ne sono state effettuate soltanto 163 sulle 947 necessarie; ossia il 17,2 % dei pazienti trattati rispetto ai trattabili.
“Nonostante le difficoltà organizzative – spiega Barbarini – a marzo 2015, ne abbiamo fatte già 27. Se si conserva il trend a fine anno potremmo averne fatte 100”. L’equipe del dottore Barbarini ha raggiunto ormai una solida competenza. Tanto che, sostiene lo stesso neurologo, se ne potrebbero fare molte di più a costo zero.
E spiega, “Basterebbe raccordarci bene con gli altri ospedali della Asl. Il paziente deve capire dai sintomi quando sta per sopraggiungere un ictus e chiamare il 118 senza perdere tempo”.
La conclusione è una: se si curassero meglio i rapporti con gli altri Pronto Soccorso, cercando di rimanere all’interno della finestra terapeutica di 4-5 ore, si potrebbero salvare molte vite e ridurre i danni invalidanti al cervello. Perché l’ictus cerebrale colpisce tante persone, sempre di più, ogni giorno.
Scupola Giovanni Maria
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