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BPCO: nuove frontiere terapeutiche

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La BPCO, broncopneumopatia cronica ostruttiva è un tipo di malattia polmonare ostruttiva in cui vi è una cronica e non reversibile limitazione del flusso d’aria nei polmoni e l’incapacità di espirare completamente.

La BPCO si sviluppa come una significativa risposta infiammatoria cronica agli agenti irritanti inalati. Il fumo di tabacco è la causa più comune della condizione insieme ad altri fattori, quali l‘inquinamento dell’aria e la genetica, che rivestono un ruolo minore.

L’esposizione a lungo termine a queste sostanze irritanti provoca una risposta infiammatoria nei polmoni con conseguente restringimento delle piccole vie aeree e la rottura del tessuto polmonare, una condizione conosciuta come enfisema. Bassi livelli di ossigeno e, infine, elevati livelli di anidride carbonica nel sangue, possono instaurarsi a causa di un cattivo scambio di gas dovuto alla ridotta ventilazione dovuta, a sua volta, dall’ostruzione delle vie aeree, dall’iperinalazione e da un ridotto desiderio di respirare. Durante le riacutizzazioni, l’infiammazione delle vie aeree aumenta, con conseguente aumento dell’iperinalazione, ridotto flusso espiratorio e peggioramento del trasferimento dei gas.

Questo può anche portare a dispnea e, infine, a bassi livelli di ossigeno nel sangue (ipossia). I bassi livelli di ossigeno, se presenti per un periodo prolungato, possono causare il restringimento delle arterie nei polmoni, mentre l’enfisema porta alla rottura dei capillari. Entrambe queste situazioni causano un aumento della pressione sanguigna nelle arterie polmonari, che possono evolvere in una condizione conosciuta come “cuore polmonare”. La diagnosi si basa sulla valutazione della scarsa circolazione dell’aria, misurata tramite test di funzionalità polmonare, tra i quali abbiamo la spirometria.

A differenza dell’asma, la riduzione del flusso d’aria non migliora in modo significativo con la somministrazione di farmaci. E’  da questo passaggio, ovvero dal carattere irreversibile della BPCO che si apre una nuova sfida, quella non solo di alleviare il sintomo, ma intervenire sullo sviluppo della malattia.

Mentre nell’ultimo decennio è stata realizzata un’ottimizzazione di classi farmacologiche già esistenti (per esempio nuovi broncodilatatori, steroidi o broncodilatatori che possano essere usati una sola volta al giorno, favorendo così l’aderenza alla terapia) oggi si vive la fase di sviluppo di anticorpi monoclonali che non solo portino benefici sul sintomo, ma vadano a bloccare specifiche vie patogenetiche coinvolte nello sviluppo della malattia.

Queste le parole del Prof. Fulvio Braido, direttore della Clinica Malattie Apparato Respiratorio Università di Genova, nel corso  del congresso Highlights di Genova, l’appuntamento annuale patrocinato dall’Italian Network in Allergy, Immunology & Asthma, dalla Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC), dalla Società Italiana di Medicina Respiratoria (SIMER), dall’Ordine dei medici di Genova e dall’Università degli Studi di Genova.

Si è detto che fumo di tabacco e genetica svolgono un ruolo chiave nell’insorgenza della malattia. Era già apparsa il 30 Settembre su Ansa.it la notizia sui geni scudo che proteggono alcuni fumatori dalle malattie.

Proprio ieri, 14 dicembre sono stati presentati a San Diego i risultati della ricerca condotta da Corrine Kliment e colleghi presso la Johns Hopkins University sulle amebe, che rappresentano il modello di BPCO umana, reagendo al fumo di sigaretta o al suo equivalente di laboratorio, CSE, estratto di fumo di sigaretta. Il CSE determina un effetto sulla crescita dell’ameba in maniera dose dipendente. Da questo sono partiti i ricercatori, studiando i geni dell’ameba e rinvenendo a due che hanno caratteristiche protettive, uno implicato nelle alterazioni del citoscheletro (Aip1), l’altro in alterazioni mitocondriali (AncA). I geni amebici AncA sono il corrispettivo dei geni umani ANT. Reintroducendo questi due geni in forma ‘sana’, l’ameba risulta protetta dall’esposizione al fumo ‘di laboratorio’. Anche nel corpo umano i geni ANT svolgono una funzione protettiva quando l’epitelio bronchiale è esposto al fumo di laboratorio.

Questa scoperta potrebbe aprire la strada a nuovi trattamenti terapeutici in futuro, in grado di alleviare i sintomi ma soprattutto cercare di trattare questa malattia invalidante.

Come professionisti sanitari il nostro compito è quello di aggiornarci e di informare, educando sempre in ogni caso la popolazione alla prevenzione.

Alessia Schiavone

 

Sitografia:

www.eurekalert.org

www.italiasalute.it

www.quotidianosanita.it

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