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Infermieri e somministrazione: una recente sentenza. Alcune Riflessioni

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Il lavoratore depresso che esce e si diverte durante la malattia non può essere licenziato
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In questi giorni, è stata emessa una sentenza di condanna, per omicidio colposo, ai danni dell’ex primario di oncologia del policlinico di Palermo, S.P. (4 anni e 6 mesi), al medico oncologo L.D., condannato anche per falso materiale in atto pubblico (7 anni), al medico specializzando A.B. anche lui accusato di omicidio colposo e falso materiale in atto pubblico (6 anni e mezzo), le due infermiere C.G. e E.D. (4 anni c.o), entrambe accusate di omicidio colposo. Oltre a questa pena, sono state emanate delle pesanti condanne accessorie, consistenti nell’interdizione alla professione per tutti i professionisti coinvolti per un numero di anni pari alla condanna; a livello civilistico, inoltre, è stato deciso per un risarcimento di quasi due milioni di euro, a favore dei familiari della vittima.

La vicenda risale al 2011 quando, una 34enne, in cura per linfoma di Hodgkin, decede in seguito a un errore nella somministrazione di un antiblastico: la vinorelbina.

Nel dettaglio, alla donna era stato, erroneamente, prescritto 90 mg di vinorelbina, anziché 9 mg, una dose 10 volte superiore alla posologia consigliata e, quindi, letale. L’errore prescrittivo era già presente in cartella clinica da circa un mese e, il medico specialista, senza rivalutare la prescrizione e la paziente stessa, ha prescritto nuovamente la dose errata, credendo ciecamente alla corretta valutazione prescrittiva fatta dal medico specializzando.

Nel ciclo precedente, però, l’errore era stato intercettato e, quindi, non vi è stato danno alla paziente ma, al ciclo successivo, per una serie di errori, negligenze e imperizie che hanno caratterizzato l’intera vicenda, l’errore si è concretizzato in un danno che ha portato alla morte della 34enne.

Dell’errore, poi, i sanitari se ne sarebbero accorti nella stessa giornata e, infatti, la signora è stata più volte chiamata per chiederle informazioni su come stesse e invitandola a recarsi in pronto soccorso qualora accusasse disturbi. E la scheda terapia è stata prontamente alterata, cancellando lo zero.

Il processo di chemioterapia è stato da sempre considerato ad alto rischio ed estremamente complesso in ogni fase di esecuzione, dalla prescrizione alla somministrazione. Addirittura, uno studio pubblicato nel 2001 dimostra come, sul totale degli eventi avversi conseguenti all’uso dei farmaci, il 15,4% è legato alla chemioterapia.

A seguito di questo evento sentinella, il Ministero della Salute ha diffuso la raccomandazione n° 14 per “la prevenzione degli errori in terapia con farmaci antineoplastici”.

Questa sentenza, vista anche la durezza della pena vuole essere da monito per tutti i professionisti sanitari. L’assistenza e la gestione dell’utenza oncologica prevede la partecipazione organizzata di più professionisti, quali componenti di un’equipe di cura. Va ricordato, però, che l’attività di equipe è ispirata e volta al principio di affidamento, cioè a quel principio che ritiene legittimo l’affidamento a ciascun membro del team e che la relativa prestazione sia effettuata in modo diligente.

Questa partecipazione multidisciplinare crea una serie di rischi, giuridicamente rilevanti, dovuti ad errori connessi alla divisione del lavoro. È fondamentale, quindi, che ogni professionista sappia quali sono i propri doveri e le proprie responsabilità nella gestione della propria attività professionale, coordinate con i colleghi al fine di garantire la massima sicurezza per il paziente.

Nonostante ciò, in capo a ogni professionista che interviene nel processo di cura, oltre alle proprie competenze, ricade l’obbligo di attivarsi quando si verificano delle condizioni capaci di far sorgere il dubbio che la prestazione effettuata dall’altro componente dell’equipe sia errata, inappropriata o non totalmente diligente.

Questo vuol dire che ogni componente del team sanitario ha il dovere di far presente la sua posizione di contraddizione e, se necessario, anche opporsi al realizzarsi dell’evento, anche in virtù della legittima posizione di garanzia, che ricade su tutti i professionisti che hanno in cura il paziente.

L’infermiere è riconosciuto, in base all’ampia normativa professionale e all’art.2229 del codice civile, come professione intellettuale e, in quanto tale, non può compiere pedissequamente attività manuali. Difatti, è responsabilità totale dell’infermiere l’intero processo della somministrazione della terapia che non è solo il dare una compressa o l’attaccare una flebo ma, bensì, un processo scientifico complesso che non inizia ne si conclude con la consegna della terapia ma che, piuttosto, inizia prima e continua dopo, coinvolgendo l’assistito.

In attesa delle decisioni della sentenza di I° grado che saranno pubblicate entro 90 giorni, vogliamo ricordare a tutti gli infermieri che, in quanto professionisti autonomi, non possiamo esimerci dalla valutazione scientifica di quanto siamo in procinto di mettere in pratica. Dobbiamo usare tutte le competenze e le conoscenze scientifiche, etiche e deontologiche necessarie a implementare la sicurezza, la qualità, l’efficacia, l’efficienza e l’appropriatezza dell’assistenza e del percorso clinico – assistenziale tutto.

Teniamo, infine, a sottolineare come, in questo tragico evento, abbia giocato una parte importante la pessima organizzazione e la carente cultura del rischio stesso. Quindi, ricordiamoci, come infermieri, di segnalare queste carenze a chi di dovere, ricercando e proponendo azioni di miglioramento organizzativo che potranno giovare alla sicurezza dell’utenza e, di conseguenza, alla nostra tranquillità professionale.

Carmelo Rinnone

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