PRONTO SOCCORSO E TERRITORIO: NUMERI E PAROLE.
La denuncia inviata alla nostra redazione (CLICCA QUI) sull’ennesimo caso di sovraffollamento dei Pronto Soccorso con annesse difficoltà di smaltimento dei pazienti nei vari reparti di degenza sforniti sia di posti letto che di personale infermieristico, cozzano completamente sui continui commenti positivi della classe politica sull’ultimo intervento legislativo-economico da parte del governo nazionale che parla di aumento della spesa sanitaria – se vi è parliamo di spiccioli – nuovi Lea e tanto altro.
Duole esser ripetitivi, ma le misure in stabilità e i tagli dei precedenti governi in materia sanitaria continuano ad avere quell’aspetto conservativo fatto di conti economici da rispettare senza una vera riforma sanitaria (CLICCA QUI) da vestire attorno al corpo dei bisogni della comunità (CLICCA QUI).
In effetti, il caso del Niguarda, dei DEA laziali (CLICCA QUI) o di quelli pugliesi confermano una regola oramai tragica nei nosocomi del nostro paese: foto di pazienti su barelle o su presidi di fantasia e operatori che lavorano in condizioni di sicurezza pessime per se e per gli altri sono trend scandaloso che dobbiamo continuare a raccontarvi ma chi è responsabile non racconta, anzi racconta fabie
E la Corte dei Conti ci viene in aiuto perchè nella sua recente relazione sulla sanità (2015), ha avvertito che “se non verranno fatti investimenti nell’assistenza domiciliare e la medicina sul territorio, tempo un paio d’anni e non verranno più assicurati i livelli essenziali d’assistenza”. Altro che nuovi Lea.
Se non bastano foto, testimonianze e la Corte dei Conti, i numeri confermano il tutto. In Italia nei PS ci sono in media 24 milioni di accessi e di questi 6 milioni sono inutili (codici bianchi più 1/5 dei verdi) e tutti gestiti da 40 mila operatori sanitari di cui 25 mila infermieri che devono smaltire utenti con dimissioni e diagnosi oppure trasferirli con circa 3,5 milioni di ricoveri nei reparti di degenza che a loro volta hanno subito dal 2000 ad oggi un taglio di circa 75 mila posti letto ricordando che l’Italia mantiene 3,6 posti letto per 1000 abitanti rispetto ai 6,4 della Francia ed ai 8,2 per la Germania. Ecco che i numeri parlano e modificandoli in meglio probabilmente non basterebbe visto che nella questione gli attori e i fattori sono tanti: non solo operatori sanitari, ma anche dirigenza sanitaria e non, politica e cittadini.
Cittadini protagonisti anche di un pessimo utilizzo del PS giustificato ad onor del vero da un assenza di risposta altrove, ovvero di sostituire il loro fabbisogno di cure in un consumismo sanitario spinto – basti pensare al numero sempre più in crescita dell’uso di antidepressivi – verso i nosocomi per poter combattere contro i tempi biblici delle liste d’attesa e spese sanitarie oramai per tanti cittadini vero e proprio problema economico e di diritto alla salute.
La soluzione che mette tutti d’accordo è lo sviluppo della sanità sul territorio ma la riforma dei percorsi diagnostici-terapeutici ed assistenziali continua ad essere scarsa e poco multidisciplinare al di fuori dell’ospedale. Da tempo aspettiamo le cosidette “Case della Salute” con Medici e Infermieri di Famiglia o l’assistenza domiciliare visto il progressivo e continuo aumento dell’età media degli utenti con conseguenti domande di salute su base cronica e multi-organo. Sul territorio esistono poche realtà che si sono spinte verso il futuro ma nel resto della stivale solo annunci (CLICCA QUI).
La verità è che si continua a parlare di territorio giustificando la necessità di deospedalizzare la sanità ma i cittadini continuano a percepire l’ospedale come prima ed unica risposta ai propri bisogni di salute e parallelamente viè lo spostamento di risorse verso il privato con una spesa sanitaria pubblica pro-capite tra le più basse dei paesi europei e con un mondo sanitario da riformare.
Nicola Tortora
Sitografia:
www.republica.it
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