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L’indifferenza colpevole della maggioranza silenziosa

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Gli infermieri e la ‘schiavitù deontologica’
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Pessima abitudine quella di generalizzare, la cosiddetta famiglia “infermieristica” è forse una delle più eterogenee famiglie professionali. I numeri che la compongono sono particolarmente importanti, superano le 400mila unità e sono la categoria professionale più numerosa della galassia sanitaria: un mondo nel mondo.

Essendo un mondo, come cittadini che lo popolano, attendiamo che qualcuno ci scopri e ci venga a studiare, un’attesa che dura da anni come se fossimo sostanzialmente invisibili, formiche operaie del cui destino interessa pochi, spesso nemmeno a noi stessi.

Perché occorre essere il più possibile realisti, il disinteresse verso le sorti della professione è uno degli aspetti devastanti, un disinteresse che ha molteplici cause, la cui analisi sarebbe il primo passo verso una ridefinizione della professione.

L’indifferenza è il dato che nessuno vuole studiare, che pochi hanno interesse a declinare negli aspetti più crudi, paradossalmente esiste una indifferenza verso l’indifferenza che di fatto porta ad un annullamento reciproco. Il risultato filosofico-algebrico porta alla sensazione che l’annullamento delle ragioni di tale situazione porti all’autoconvincimento che in realtà stiamo tutti operando per il bene della professione, che esista un impegno forte nella volontà della sua evoluzione. Si forma quel circuito autoreferenziale che provoca l’impasse storica, un’impasse che nutre le proprie radici da almeno 20 anni.

Se l’indifferenza ha una causa è logico pensare che abbia anche dei colpevoli: la lista sarebbe lunga, gli “indifferenti” sarebbero in grado di elencare una serie di nomi che corrisponderebbero a tutti quei soggetti che avrebbero potuto fare e non hanno fatto e se hanno fatto, di sicuro hanno fatto male. Gli indifferenti colgono i fallimenti, li vivono come segni della loro scelta, perché non li tange, non li fa sentire colpevoli.

IPASVI, Sindacati, Dirigenti, Coordinatori ma anche colleghi sapientemente imboscati, i nemici storici ovvero i medici e probabilmente anche la classe politica locale e nazionale.

Una lista piuttosto ovvia e probabilmente demagogica.

Gli “indifferenti” sono sempre in prima linea a puntare il dito verso qualcosa o verso qualcuno, per poter perorare la loro causa di “sfigati” costretti a lavorare nel peggiore dei mondi possibili.

Poco importa se il mondo dei social pullula di gruppi di infermieri, se la rete si infittisce di giornali on line che parlano dell’Infermieristica, se aumentano i colleghi che provano a mettere l’impegno oltre l’orario del proprio lavoro, gli “indifferenti” rimangono la maggioranza silenziosa, quella che sposta la percezione sociale della professione e di fatto ne impedisce l’evoluzione.

Non confonderei l’indifferenza con la partecipazione, perché “non partecipare” è una forma sottile di partecipazione, che però non apporta alcun cambiamento, anzi lo blocca e permette il perpetuarsi proprio di quei meccanismi che l’indifferente indica come causa o colpa.

A molti, o ai pochi visto l’indifferenza dilagante, quanto affermo apparirà un concetto gramsciano e in effetti lo è.

In tempi piuttosto complessi in cui vi sono forti tendenze a voler ripristinare logiche capitaliste di prevaricazione del più forte rispetto al più debole che sembravano superate con l’equilibrio democratico repubblicano, occorre provare a riscoprire alcuni aspetti interessanti dei pensatori del XX secolo, indipendentemente che facciano o meno parte della propria sensibilità politica. Ammesso e non concesso che oggi esista ancora una sensibilità politica.

Immaginare Gramsci applicato alla nostra professione è esercizio assai complesso ma è simpatico ricordare come egli nel suo “odio gli indifferenti” è stato osservatore acuto della società del suo tempo, molte delle sue parole e dei suoi pensieri si potrebbero attualizzare.

Nel suo lungo riflettere sulle condizioni di vita dei suoi contemporanei, trova anche il modo di scoprire questo nostro complesso mondo, lo fa con la solita franchezza, regalando agli “infermieri” un paio di righe.

Gramsci sosteneva per esempio che “l’assistenza è un diritto non un regalo” e nella sua diserzione ad un certo punto scrive

“..che le infermiere fossero delle donne che di fronte al loro compito dimenticano l’abito che indossano per adempiere l’ufficio che liberamente hanno scelto. E invece..L’infermità è l’ultima delle preoccupazioni di medici ed infermiere”.

Estrapolando una frase si rischia di compiere un atto vandalico nei confronti del pensiero gramsciano, la sua osservazione era indirizzata alla incapacità di quel sistema di essere neutro, luogo di cura e non certo luogo di coercizione della coscienza.

Nel rileggere quelle parole però ho trovato uno dei tanti motivi per cui ho scelto di fare l’infermiere e di farlo coscientemente sveglio, attivo ovvero rispondere in maniera fattiva all’accusa mossa ovvero di non saper riconoscere nello stato di malattia la “sensibilità spasmodica” dell’ammalato.

La digressione gramsciana mi è utile per affermare come l’assenteismo ingiustificato della maggioranza silenziosa altro non è che la vera sconfitta di un processo di emancipazione della classe infermieristica, rimasta colpevolmente  ancorata al suo “dovere”, un “dovere” dimezzato perché nella continua evoluzione storica del Sistema in cui eravamo immersi non siamo stati protagonisti ed abbiamo finito per compiere “quel passaggio freddo accanto all’infermo” che ha reso “l’assistenza un regalo e non un diritto”.

Siamo di fronte ad un grave de-responsabilizzazione di massa, questo è a mio avviso la grande sconfitta della classe dirigente infermieristica degli ultimi anni.

I sussulti provocati dal Collegio di Pisa sull’art.49 possono essere momenti esaltanti di riappropriazione del destino della nostra classe professionale, va colto profondamente come un atto politico lungimirante, che coglie quel frangente dimenticato di “fantasia” e di capacità nel cogliere il profondo senso di smarrimento di una intera classe professionale.

La politica inetta ed i suoi seguaci non comprenderanno, perché la loro sensibilità non è impegnata sull’ascolto ma parla a se stessa nella convinzione di conoscere perfettamente quale strada seguire.

“Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”

(A. Gramsci)

Piero Caramello

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