DIABETE DI TIPO I: un mini-pancreas biotech contro l’insulino-dipendenza. Dopo il primo trapianto eseguito a Miami (Stati Uniti) nell’Agosto 2015, l’innovativa procedura di trapianto di cellule pancreatiche è stata sperimentata con successo anche in Italia
Nell’ospedale Niguarda di Milano, un paziente di 41 anni affetto da diabete mellito di tipo I dall’età di 11 anni, è stato sottoposto alla nuova procedura chirurgica mini-invasiva di trapianto di isole pancreatiche, le cellule deputate alla produzione di insulina. “Il trapianto è riuscito: il paziente sta bene e ora non ha più bisogno di somministrarsi insulina per mantenere sotto controllo i valori di glicemia”, riferiscono gli esperti.
Si tratta del primo caso in Europa, il quarto nel mondo.
L’intervento, eseguito nei giorni scorsi, ha coinvolto l’équipe della Chirurgia Generale e dei Trapianti, quella dell’Anestesia e Rianimazione 2, la Diabetologia, la Nefrologia e la Terapia Tissutale.
La tecnica attuale
“Attualmente le cellule insulari vengono infuse nel fegato, ma molte di esse non sopravvivono in questo ambiente, a causa di una reazione infiammatoria che ne compromette il funzionamento – spiega Luciano De Carlis, Direttore della Chirurgia Generale e dei Trapianti.
La nuova procedura
La nuova procedura sperimentale è stata messa a punto dal Diabetes Research Institute (DRI), un centro di eccellenza diretto da Camillo Ricordi presso l’Università di Miami, dove sono stati seguiti i primi due casi al mondo.
Si tratta di una tecnica di ingegneria tissutale che sfrutta la chirurgia video laparoscopica per l’impianto delle isole pancreatiche sulla membrana che circonda gli organi addominali (l’omento) grazie ad un’impalcatura biotech che ne favorisce l’attecchimento.
Le isole del donatore vengono inglobate in un’impalcatura biologica costituita da una combinazione di plasma del paziente e trombina, che permette il mantenimento in sede delle isole trapiantate e che si riassorbe sulla superficie dell’omento (il tessuto altamente vascolarizzato che ricopre gli organi addominali). Queste due componenti, infatti, quando unite, creano una sostanza gelatinosa che si attacca all’omento mantenendo le isole in sede. L’organismo assorbe gradualmente il gel lasciando le isole intatte, mentre si formano nuovi vasi sanguigni che forniscono l’ossigenazione e gli altri nutrienti necessari per la sopravvivenza delle cellule.
Grazie a questa evoluzione si punta ad ottenere una sopravvivenza più prolungata delle isole rispetto a quanto avviene per la sede intraepatica. A differenza del fegato in questa sede sarà possibile in futuro applicare microcapsule e altri dispositivi per ridurre la necessità della terapia immunosoppressiva.
Verso il perfezionamento
Il trapianto d’insule rappresenta una cura per il diabete di tipo 1 con grandi potenzialità, ma esistono alcuni ostacoli importanti che ne limitano l’applicazione su larga scala. Tra questi sono da considerare:
- il numero limitato di organi per la purificazione d’insule di buona qualità e in quantità sufficiente per il trapianto; l’elevato numero di insule necessario per un trapianto efficace;
- la scarsità di centri con esperienza adeguata per produrre insule trapiantabili;
- la necessità di tenere i pazienti in regime d’immunosoppressione, cosa che può esporre i soggetti a un aumentato rischio di infezioni e tumori.
La ricerca mira a sperimentare nuove strategie per stimolare l’organismo del ricevente a tollerare le cellule trapiantate ed eliminare così la necessità della terapia immunosoppressiva anti rigetto o, quanto meno, renderla meno pesante.
Inoltre, per migliorarne l’attecchimento e il funzionamento, si cercheranno nuove sedi di infusione delle cellule, innovativi farmaci e si utilizzeranno avanzate strumentazioni diagnostiche per verificare la funzionalità delle isole.
Infine, sono in corso anche progetti finalizzati a ottenere cellule da trapiantare partendo da cellule staminali.
Da questa ricerca riceveranno dunque benefici sostanziali tutti i diabetici che necessitano di terapia insulinica: in una prima fase i pazienti affetti da diabete di tipo 1 e successivamente anche le persone colpite da diabete di tipo 2.
Nicoletta Fontanile
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